La deroga al segreto investigativo mette a rischio le indagini condotte dall'autorità giudiziaria
La deroga al segreto investigativo mette a rischio le indagini condotte dall'autorità giudiziaria. Lede le attribuzioni costituzionali del Pm la norma, inserita nel decreto legislativo 177/2016, in base alla quale ogni rappresentante delle forze dell'ordine deve trasmettere al suo superiore le notizie sulle informative di reato indipendentemente dagli obblighi dettati dal Codice di rito penale.
Nella sentenza della Corte 229 del 06.12.2018, ci sono le motivazioni della decisione, anticipata il 7 novembre scorso, con la quale la Consulta ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, proposto dal procuratore di Bari nei confronti del Governo. Il giudice delle leggi, pur riconoscendo che le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela, ha ritenuto lesiva delle attribuzioni costituzionali del Pm, garantite dall'articolo 109 della Costituzione, la specifica disciplina della trasmissione per via gerarchica delle informative di reato.
Per la Consulta le ambiguità del testo, che non specifica i confini della deroga, rendono concreto il pericolo che le notizie coperte da segreto investigativo finiscano nella sfera di conoscenza di una platea ampia di soggetti “che non hanno alcun titolo per rapportarsi con l'autorità giudiziaria concretamente competente sull'attività di indagine” Né, precisano i giudici, si può osservare che tutti sono tenuti a rispettare il segreto d'ufficio perché – a parte il numero elevato che rende la riservatezza illusoria – il nucleo del segreto di indagine è stato già infranto “quantomeno a loro beneficio”. Altrettanto larghe anche le maglie di ciò che deve essere comunicato ai superiori.
La locuzione utilizzata “notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria” lascia il dubbio se l'oggetto dell'informativa si ala notizia di reato o solo la notizia relativa al suo inoltro e se dunque i dati devono essere limitati a quelli esteriori effettivamente utili per il coordinamento informativo e organizzativo “interforze” (numero degli indagati, tipo di reati, complessità delle indagini) oppure devono essere estesi a quelli di interesse investigativo (nome degli indagati, destinatari delle intercettazioni in corso, contenuto dei singoli atti investigativi ecc).
Ancora non chiara anche l'ampiezza delle informazioni da trasmettere: se siano tutte le notizie di reato o solo le più rilevanti. Il tutto comporta ulteriori interrogativi – scrive la Consulta – sul destino e il trattamento di una massa potenzialmente assai ampio di dati e informazioni personali oggetto di discipline ad hoc. Incertezza anche sull'eventuale esaurirsi dell'obbligo con la prima trasmissione dell'iniziale notizia di reato o del suo estendersi anche ai seguiti di indagine. Tutte ambiguità che rendono concreto il rischio di far concentrare nelle mani dei soggetti posti ai vertici delle forze di polizia una notevole quantità di dati e informazioni rilevanti a livello investigativo, che vanno oltre le necessità di coordinamento e organizzazione poste alla base della deroga. Difetti che trasformano un legittimo coordinamento informativo e organizzativo, in una forma indebita di coordinamento investigativo, che lede le attribuzioni dell'autorità giudiziaria.
Fonte: Il Sole 24 Ore