Il giornalista non può pubblicare il nominativo della donna vittima di violenza sessuale
Il Codice della privacy esclude la divulgazione dei nomi delle vittime di violenza sessuale, a meno che sia necessaria ai fini della corretta informazione sulla vicenda e che tale informazione corrisponda a un essenziale interesse pubblico. La Corte di cassazione con la sentenza n. 4690/2021 ha accolto il ricorso di una moglie che, violentata dal marito in un ambito di maltrattamenti in famiglia, lamentava la pubblicazione da parte di un giornalista delle proprie generalità.
Il rinvio è stato giustificato dalla carenza della motivazione del giudice di merito che, nel respingere la domanda della donna di risarcimento danni, ha ritenuto legittima la condotta del giornalista.
La prima difesa dell'autore dell'articolo - che emerge tra le righe della sentenza di legittimità - si attagliava sulla piena riconoscibilità della vittima a causa della doverosa divulgazione delle generalità del marito autore del reato.
Ma tanto il giornalista quanto il giudice - chiamato a valutarne il comportamento - non possono limitarsi a una tale constatazione, che non è spendibile de plano. La divulgazione di nome e cognome della vittima va, infatti, comunque valutata in rapporto alla circostanza che siano essenziali alla notizia e che questa sia di interesse generale. ma soprattutto, che tali dati coperti da privacy non siano "eccedenti" rispetto al fine di rendere una corretta informazione di un fatto che per le sue peculiarità coinvolge la dignità umana della vittima. L'articolo 137 del Codice Privacy mira a tutelare la riservatezza delle persone offese dalla commissione di alcuni gravi reati, segnatamente di natura sessuale.
Ma la verità del fatto, la rilevanza dell'interesse pubblico a conoscerlo e la continenza nell'esporlo, da parte del giornalista, sono fattori che lasciano sopravanzare il diritto di cronaca sull'interesse alla privacy della persona offesa dal reato sessuale.
Cioè la tutela di rilievo costituzionale della dignità della persona può essere superata da una puntuale valutazione giornalistica - oggetto dell'esame del giudice, in caso di lite - sull'essenzialità dell'interesse a divulgare la notizia.
Quindi la bilancia può ben pendere dal lato della libertà di espressione in merito a un fatto che coinvolge la privacy individuale. Nel caso concreto la Corte annulla la sentenza per la carente motivazione fornita sul punto di tale bilanciamento.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 23 febbraio 2021