Così l'intelligenza artificiale può aiutare ad arginare il revenge porn
C’è ancora molto da fare sul fronte della prevenzione e repressione del cosiddetto reato di revenge porn. Oggi le vittime hanno a disposizione strumenti di tutela penali e amministrativi che però non sempre sono sufficienti a evitare la viralità dei contenuti. Sul fronte penale si può sporgere querela entro 6 mesi dalla conoscenza del fatto (termine doppio rispetto a quello ordinario). Il reato è procedibile d’ufficio se commesso ai danni di una persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o di una donna in gravidanza. Non è invece prevista un’aggravante specifica a tutela dei minorenni.
La giungla del web - La condivisione dei materiali può, però, avvenire attraverso un numero talmente ampio di piattaforme - applicazioni di messaggistica crittografati, social network, siti hard, peer to peer, mailing list - che tali strumenti da soli non bastano a bloccare i contenuti. Il progetto pilota del Garante dello scorso marzo per ora riguarda soltanto Facebook e Instagram e non le piattaforme di messaggistica come WhatsApp o Telegram, il che di fatto ne riduce notevolmente la portata, anche se va nella giusta direzione.
La condivisione in modalità compressa e la criptografia end to end, poi, non agevolano la scansione e il blocco preventivo dei contenuti. Inoltre, non esiste ancora la possibilità di una deindicizzazione preventiva da parte dei motori di ricerca.
In campo l’intelligenza artificiale - Eppure la tecnologia consente di scansionare i contenuti in forma massiva. Non è un caso che quest’estate Apple abbia annunciato di volerlo fare per evitare la condivisione dei contenuti pedopornografici. A parte le giuste osservazioni sugli eventuali abusi dello strumento in termini di violazione della privacy, ciò dimostra che l’intelligenza artificiale è in grado di confrontare le immagini con quelle segnalate evitando il caricamento dei contenuti, cosa che avviene già in molti casi per le violazioni del diritto d’autore.
Spesso poi la condivisione del materiale avviene anche con sconosciuti, di cui può diventare difficile l’identificazione. Oppure la condivisione con terze persone non è ancora avvenuta, ma la vittima vive col timore che possa succedere. Tutti motivi per rafforzare gli strumenti preventivi, non solo penali. In caso di cyberbullismo i minorenni hanno a disposizione anche lo strumento dell’ammonimento del questore, che può essere attivato pure per fatti legati al cosiddetto sexting. Ogni Stato però continua a legiferare in maniera diversa e questo non agevola la rimozione dei contenuti e la collaborazione tra le autorità e le piattaforme coinvolte.
I filtri agli hosting - La Corte di giustizia Ue ha, però, stabilito che i singoli Paesi dell’Unione possono imporre ai social network e agli hosting in generale di cancellare o disabilitare l’accesso a contenuti illeciti in tutto il mondo (sentenza del 3 ottobre 2019 nella causa C-18/18).
La questione dei filtri preventivi degli hosting era già arrivata del 2011 davanti ai giudici del Lussemburgo, che nel caso delle violazioni del diritto d’autore avevano considerato però troppo oneroso per i social network prevedere un sistema di monitoraggio costante (sentenza del 24 novembre 2011 nella causa C-70/10).
A diverse considerazioni potrebbero giungere nel caso di contenuti intimi, visto che il giudizio di bilanciamento potrebbe propendere a favore degli utenti che chiedono ormai da tempo maggiori tutele.
(Fonte: Il Sole 24 Ore)