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Anonimizzazione delle sentenze solo per motivi legittimi, anzi 'opportuni'

La procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali prevede che fermo restando quanto deciso dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria, l'interessato può chiedere per "motivi legittimi", che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.

In molti casi opportuno anonimizzare le sentenze

Ebbene con la recente ordinanza n. 16807/2020  la Corte di cassazione, ponendo l'accento sulla evidente poca chiarezza del legislatore nel definire il concetto di "motivi legittimi" ha ritenuto che l'espressione vada a ben vedere apprezzata quale sinonimo di "motivi opportuni" rimessi come tali al prudente, equilibrato, ma anche "elastico" bilanciamento d'interessi che fa capo, naturaliter, al giudice stesso.

La procedura di anonimizzazione - Va in primis chiarito che sono legittimati a inoltrare l'istanza de quo non solo le parti di un giudizio civile, o l'imputato in un processo penale, ma anche qualsiasi altro soggetto - quale, ad esempio, un testimone o un consulente - reso identificabile nel provvedimento attraverso l´indicazione delle generalità o di altri dati identificativi. Resta fermo – si badi - che l'eventuale omissione può riguardare solo l'interessato che ha proposto la richiesta, e non altri soggetti. Segnatamente la richiesta deve essere rivolta all'ufficio giudiziario procedente, avanti al quale si svolge il giudizio. Va inoltre evidenziato che il deposito deve avvenire prima che sia definito il relativo grado di giudizio, in altre parole a procedimento ancora in corso: una istanza proposta dopo la definizione del giudizio resterebbe priva di effetto.

In particolare l'istanza deve contenere l'esplicita richiesta che la cancelleria o la segreteria riportino, sull'originale della sentenza o del provvedimento, una annotazione che specifichi che in caso di riproduzione del provvedimento non può essere riportata l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del richiedente. Inoltre la richiesta deve essere espressamente motivata, poiché in essa - chiarisce il Codice privacy – l'interessato deve specificare i "motivi legittimi" che la giustificano, quali la "delicatezza" della vicenda oggetto del giudizio o la particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili).

La prescrizione è rivolta in primo luogo al giudice poiché le sentenze e le altre decisioni dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet. Ciò nondimeno la prescrizione è rivolta ugualmente a tutti gli altri soggetti, terzi rispetto all'autorità giudiziaria, che svolgono attività di diffusione dei provvedimenti per finalità di informazione giuridica. Va sottolineato che la prescrizione si riferisce anche alla diffusione delle massime giuridiche estratte dai provvedimenti, sull'originale dei quali sia apposta l'annotazione sull'omissione dei dati. Ne consegue che anche in caso di riproduzione delle sole massime deve essere posta la dovuta attenzione, attraverso l'esame della copia dell'originale del provvedimento, che le stesse risultino prive delle generalità e di altre informazioni idonee a identificare gli interessati che abbiano ottenuto di vedere omessi i dati che li riguardano.

"Motivi legittimi", "motivi normativi", "motivi opportuni"- Come recita il Codice privacy la domanda di oscuramento dei dati personali presentata dall'interessato deve dunque essere sostenuta dalla indicazione dei "motivi legittimi" che segnano il discrimine fra l'accoglimento e il rigetto della relativa domanda. Tuttavia, ha evidenziato la Corte nella ordinanza in analisi, il concetto utilizzato dal legislatore "per certo non felice", necessita di una appropriata e indispensabile interpretazione. Dal che va innanzitutto escluso che l'espressione possa essere intesa nell'accezione di "motivi normativi". A conforto di tale esclusione depone la clausola di riserva stabilita dal Codice privacy in proposito: "Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado...". Ciò anche in ragione dell'evidente superfluità di una disposizione che si limiti a fare riferimento a quanto già previsto da altre norme. Così, rimarca la Corte, per dare un significato davvero compiuto e intellegibile all'espressione "motivi legittimi" non resta che apprezzarla quale sinonimo di "motivi opportuni" in linea con la peculiare ampiezza, efficacemente non predeterminata all'interno di schemi rigidi dal legislatore, delle ragioni che possono essere esibite a sostegno della richiesta di oscuramento.

In questo modo, l'accoglimento della richiesta avrà luogo ogniqualvolta l'autorità giudiziaria ravviserà un equilibrato bilanciamento tra le esigenze di riservatezza del singolo e il principio della generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, quale strumento di democrazia, di dialettica, di informazione giuridica.

(Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2020)

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