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Giovedì scorso il social network “Weibo”, l'equivalente cinese di Twitter, ha annunciato che quando gli utenti posteranno i loro commenti, saranno pubblicati anche gli indirizzi IP sulle pagine del loro account, allo scopo di combattere i "cattivi comportamenti" online. La notizia è stata resa nota dalla Cnn.

La gelosia tra ex può costare cara, soprattutto se viaggia sui social network. Lo sa bene una donna di 34 anni, condannata dal Tribunale di Palermo (giudice onorario Marchese) a pagare 6mila euro di risarcimento danni a un amico dell’ex fidanzato per aver creato un falso profilo Facebook a suo nome per tentare di recuperare la relazione sentimentale interrotta (sentenza 2076 del 16 maggio 2022).

Come da prassi prevista dalle norme antiriciclaggio avevano chiesto al cliente le motivazioni riguardo la finalità del cospicuo prelievo di 85.000 euro che egli aveva richiesto di effettuare, e a seguito della risposta ironica che avevano ricevuto non riuscivano a trattenersi dal condividere la mail con altri colleghi su WhatsApp, che a loro volta condividevano con altri ancora, a tal punto che la comunicazione è arrivata infine su Facebook diventando virale. Se i bancari trovavano divertente il messaggio che circolava da un social ad un altro, non rideva però l’autorità per la privacy, che dopo aver accertato i fatti irrogava alla banca una sanzione da 100mila euro.

Porta aperta alle class action e alle richieste danni contro il social network che esagera sulla gratuità dei servizi offerti agli utenti digitali. I dati personali sono inseriti in un circuito di sfruttamento commerciale e tutto questo va chiarito fin da subito. Se, invece, si pone l'accento magnificando la gratuità del servizio, allora si commette pubblicità ingannevole. E l'Antitrust applica la relativa sanzione pecuniaria e può obbligare a diffondere un comunicato che metta in evidenza la scorrettezza. Così come è capitato a Facebook, cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha applicato una sanzione di 5 milioni di euro, obbligando a pubblicare un avviso in cui dichiara di avere violato il codice del consumo, per mancata adeguata informazione agli utenti. Le sanzioni sono state confermate dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2631 del 29/3/2021.

Sporge un reclamo il Beuc, l’Organizzazione Europea dei Consumatori, alla Commissione Europea e alla Rete di cooperazione per la tutela dei consumatori contro TikTok. Il social network, che riscuote un grande successo fra bambini e adolescenti, è accusato di non tutelare adeguatamente gli utenti da contenuti inappropriati, pubblicità occulta e di violarne numerosi diritti. Insieme al Beuc, le organizzazioni di consumatori di 15 Paesi del network, fra cui Altroconsumo in Italia, si sono rivolte alle autorità – in Italia, il Garante privacy e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato - chiedendo di indagare sulla condotta del social.

In un recente provvedimento (13 maggio 2021 – doc. web. N. 9669974) l’Autorità Garante ha sanzionato un Comune per aver implementato un sistema di controllo della navigazione in internet senza aver reso ai lavoratori una informativa ai sensi dell’articolo 13 del Regolamento UE 679/2016. Il caso affrontato dal Garante ha preso spunto da una sanzione disciplinare irrogata a un lavoratore pubblico che utilizzava il computer del Comune, per finalità non lavorative. In particolare, per aver consultato Facebook, Youtube e altre pagine web.

L’autorità di controllo per la protezione dei dati personali della Corea del Sud ha dichiarato di aver multato Meta per 21,62 miliardi di won (pari a circa 14 milioni di euro) per aver raccolto e divulgato illegalmente informazioni sensibili su quasi un milione di utenti.

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Per anni, Facebook ha dato ad alcune delle più grandi aziende tecnologiche al mondo un accesso privilegiato ai dati personali degli utenti. Una specie di pacchetto all inclusive, dove gli optional erano le informazioni riservate di milioni di persone. Una procedura che è andata ben al di là di quelle che sono le regole sulla privacy. A rivelarlo, con un'inchiestache al cospetto la storia di Cambridge Analytica sembra un romanzo estivo, è il New York Times.

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La “vanità” nella rete non perdona e può costare caro.Fingere di essere un’altra persona, spacciarsi per single quando si è invece sposati, usare come fotografia del proprio profilo sui social network quella di un’altra persona, magari nota. Sono alcuni esempi delle nuove falsificazioni digitali che negli ultimi anni sono finite sotto la lente dei giudici, dando vita a una giurisprudenza fatta di fake, finti status e identità inesistenti. L’obiettivo degli autori è quello di avere più visibilità, ingannare gli utenti o estorcere denaro. Il reato presupposto è sempre lo stesso: la sostituzione di persona, punita con la reclusione fino a un anno e procedibile d’ufficio.

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C’è ancora molto da fare sul fronte della prevenzione e repressione del cosiddetto reato di revenge porn. Oggi le vittime hanno a disposizione strumenti di tutela penali e amministrativi che però non sempre sono sufficienti a evitare la viralità dei contenuti. Sul fronte penale si può sporgere querela entro 6 mesi dalla conoscenza del fatto (termine doppio rispetto a quello ordinario). Il reato è procedibile d’ufficio se commesso ai danni di una persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o di una donna in gravidanza. Non è invece prevista un’aggravante specifica a tutela dei minorenni.

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Il presidente di Federprivacy intervistato su Rai 4

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