Raccolta rifiuti porta a porta, sacchetti rossi per i positivi al Covid-19, ma la privacy?
Per la raccolta dei rifiuti prodotti dagli utenti positivi in quarantena presso il proprio domicilio in 58 comuni della Toscana arrivano i sacchetti rossi anti-Covid, e probabilmente anche anti-privacy.
(Nella foto: Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy)
Sta facendo infatti discutere il comunicato pubblicato il 25 novembre 2020 da Alia Servizi Ambientali spa, società che gestisce i rifiuti in parte della Toscana, nel quale si legge che i cittadini “devono sospendere la differenziazione dei rifiuti, ed, a seguito di contatto da parte del Comune ad Alia, avranno l’attivazione del servizio dedicato”, comprendente la “fornitura di un kit, comprensivo di sacchi rossi e materiale per la chiusura quale nastro adesivo o fascette, da utilizzare per esporre i rifiuti prodotti” per una durata di almeno 21 giorni che potrà all’occorrenza essere prorogata o interrotta.
Benché sia comprensibile ed opportuno che i rifiuti delle persone positive debbano essere maneggiati con cura e seguire un trattamento diversificato, si pone però il problema della tutela della privacy, in speciale considerazione del fatto che lo stato di positività come tutte le altre informazioni riguardanti la salute di una persona sono informazioni sensibili rientranti nelle particolari categorie ai sensi dell’art.9 del Gdpr.
I cittadini infetti che devono portare i sacchetti rossi in strada si espongono in concreto all’imbarazzo di essere identificati da vicini e passanti che li vedono, e lo stesso fatto che tali sacchi possono poi rimanere depositati per molte ore fuori dalla propria porta è di fatto un contrassegno che evidenzia che in tale abitazione vi è un positivo al Coronavirus.
Sembra quindi stonata la spiegazione fornita dalla Alia Spa, che definisce la scelta adottata come inevitabile e dettata dallo stato di necessità dell’emergenza sanitaria, senza però giustificarne i motivi che avrebbero impedito di ricorrere a soluzioni alternative che avrebbero potuto forse “minimizzare” l’esposizione delle informazioni sensibili e risultare più rispettose nei confronti della sfera privata e della dignità dei cittadini.
Eppure la questione delle criticità della raccolta dei rifiuti porta a porta non è un tema affatto nuovo, ed era già stato affrontato in passato dal Garante per la protezione dei dati personali, quando il problema era sempre il colore dei sacchetti.
Già nel 2005, l’Autorità era infatti intervenuta sull’obbligo introdotto da alcuni comuni di far utilizzare ai cittadini sacchetti dei rifiuti trasparenti o con etichette adesive nominative per la raccolta "porta a porta". È vero che il Garante vietò tale modalità, ma d’altra parte nel suo provvedimento generale aveva anche individuato delle possibili alternative per non rendere platealmente identificabili gli interessati, come l’utilizzo di codici a barre per contrassegnare i sacchetti, o ricorrendo a microchip o a etichette intelligenti (Rfid) che potevano evitare controlli indiscriminati o ispezioni generalizzate dei rifiuti.
Questo nuovo caso riguardante la raccolta dei rifiuti porta a porta lascia quindi perplessi sulle valutazioni che possano aver indotto la società toscana ad accantonare frettolosamente il diritto alla privacy dei cittadini in nome del Covd-19, quando sarebbe stato possibile trovare soluzioni meno invasive.