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Privacy invasa anche durante la pausa caffè con il riconoscimento facciale nei distributori automatici

Di recente un’imprevista scoperta ha scatenato preoccupazioni sulla privacy anche nelle situazioni più comuni, come la pausa caffè in ufficio. È accaduto agli studenti del campus dell’Università di Waterloo, in Canada, i quali si sono accorti in modo del tutto casuale che quello che sembrava essere un innocuo distributore automatico di snack era in realtà dotato di un’applicazione di riconoscimento facciale in grado di profilare chiunque si avvicinasse, stimando età e genere attraverso l’utilizzo di una webcam.

La rivelazione ha scatenato un’ondata di sconcerto e indignazione tra gli studenti, che hanno reagito coprendo le telecamere con gomme da masticare e post-it. Molti si sono ovviamene sentiti invasi nella loro privacy, soprattutto per la totale assenza di comunicazioni o avvisi da parte dell’università o dell’azienda produttrice dei distributori.

L’azienda responsabile dei distributori automatici ha cercato di placare le preoccupazioni, sottolineando che il software di riconoscimento demografico funzionerebbe in locale e non immagazzinerebbe dati personali, per cui non identificherebbe gli studenti che fruiscono dei distributori automatici intelligenti sempre più diffusi.

Nonostante le rassicurazioni, la comunità studentesca ha comunque richiesto misure immediate e concrete per proteggere la propria privacy, e l’università ha prontamente risposto ordinando la rimozione dei distributori dal campus e la disattivazione del software incriminato, promettendo di svolgere un’indagine approfondita per verificare l’accaduto ed evitare il ripetersi di simili situazioni in futuro.

Nel frattempo, dopo aver ricevuto alcune denunce il Commissario per la privacy dell'Ontario ha avviato un'indagine per verificare gli oltre venti distributori automatici dotati di tecnologia di analisi facciale installati presso l’ateneo canadese per accertare le modalità in cui sarebbe stata violata la privacy degli studenti.

La vicenda dell’Università di Waterloo solleva ancora una volta questioni importanti riguardo l’uso sempre più diffuso della tecnologia di sorveglianza e il rispetto della privacy nelle istituzioni pubbliche e private.

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