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Non commette reato il marito che in tribunale usa le mail della moglie intercettate con un keylogger

Non viola il divieto di divulgazione dei dati personali, che si gioca in tribunale, per la separazione giudiziale, mail e foto della moglie intercettate con il programma kaylogger che consente di vedere in tempo reale le conversazioni all’insaputa della persona spiata.  Nello specifico l’improvvisato 007 si salva anche dal reato di installazione e captazione fraudolenta perché la moglie era consapevole dell’esistenza del sistema di “monitoraggio”, visto che era stato montato per controllare che la figlia minore della coppia non usasse impropriamente il computer.

il keylogger a un “registratore di tasti” occulto.

L’uomo era stato condannato per tutti i reati contestati, sia in primo grado sia in appello. Per la Corte territoriale il supposto intento di tutelare la figlia dai rischi della rete, non bastava ad escludere la natura fraudolenta dell’installazione di keylogger.

L’intercettazione in tempo reale - Era, infatti, chiaro che l’intenzione dell’imputato era invece di spiare la moglie in un periodo di crisi ed acquisire contro di lei prove utili ad ottenere, nell’ambito della separazione giudiziale, un verdetto a suo favore. In base a quanto accertato dal Tribunale e confermato dalla Corte d’appello il sistema che consentiva di intercettare in tempo reale tutto quanto veniva inviato nella casella di posta elettronica della moglie, entrava in funzione appena la signora si connetteva ad internet. Una sorta di grande fratello che filmava tutti i contenuti dei messaggi che venivano inviati in diretta nel Pc del marito il quale poteva visionarli.

Contenuti “rubati” consegnati al giudice - La Suprema corte (sentenza 30735) esclude anche la violazione della privacy per la divulgazione a terzi dei contenuti “rubati”. Perché il fascicoletto creato dal marito, era finito direttamente sul tavolo del giudice che doveva stabilire le condizioni per la separazione tra i due. Un utilizzo che non è idoneo, precisa la Suprema corte, a rivelare il contenuto della comunicazione alla generalità dei terzi, come previsto dalla norma incriminatrice. I giudici di merito avevano poi sbagliato anche a condannare per il reato di violazione della corrispondenza, previsto dall’articolo 616 del Codice penale. Una norma non applicabile al caso esaminato perchè riferibile solo alla comunicazione umana nel suo profilo “statico” e scatta quando il pensiero già comunicato o da comunicare è fissato su un supporto, o rappresentato in forma materiale. Mentre nello specifico si parlava di comunicazioni carpite nel loro momento dinamico. Ipotesi che rientra nel raggio d’azione dell’articolo 617-quater del codice che vieta di intercettare, interrompere o impedire il flusso.

Il detective fai da te è comunque salvo. E lo sarebbe stato in ogni caso grazie alla prescrizione, maturata già in appello. La Cassazione annulla le condanne senza rinvio.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 12 novembre 2020

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