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Liti tra mamme su Facebook: è punibile quella che risponde con le offese alle provocazioni dell’altra

Secondo a cassazione la mamma che offende un’altra sui social è punibile a meno che non sussistano cause di esclusioni previste come l’art. 599 codice penale o l’art. 131 bis del Codice Penale.

la mamma che offende un’altra sui social è punibile a meno che non sussistano cause di esclusioni


È quanto ha stabilito con la sentenza 789/2024 la Corte di Cassazione riguardante la pubblicazione di alcune frasi sul profilo Facebook dell’imputata ritenute offensive della reputazione di un’altra mamma accusata di aver offeso il figlio minorenne della prima.

Già la Corte d’Appello aveva ritenuto sussistente il reato per la portata diffamatoria evidente delle frasi negando la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis Codice Penale).

Ai giudici della suprema Corte è stato presentato come motivo di ricorso, tra i vari, la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 599 Cod. Pen.: "le frasi denigratorie pubblicate su Facebook ed oggetto di contestazione sono state scritte per reazione al fatto che la persona offesa aveva preteso, mediante un messaggio nella chat-gruppo WhatsApp delle mamme, di cui entrambe facevano parte, che l'imputata si affrettasse a riprendere suo figlio alla festa, senza specificarne le ragioni, così generando in lei il panico, mancando risposta alcuna alla sua richiesta di sapere se fosse accaduto qualcosa al proprio figlio; salvo poi venire a sapere che il bambino doveva essere allontanato dalla festa perché troppo vivace".

Le circostanze, a detta della difesa, avevano ingenerato nella ricorrente uno stato d'ira per aver subito l'altrui fatto ingiusto, con conseguente ed immediata reazione.

La Cassazione ha tuttavia ritenuto non fondato il ricorso per le seguenti ragioni: La Corte spiega che "non vi è dubbio che la causa di non punibilità della provocazione di cui all'art. 599, comma 2, cod. pen. sussiste non solo quando il fatto ingiusto altrui integra gli estremi di un illecito codificato, ma anche quando consiste nella lesione di regole di civile convivenza; tuttavia, tale lesione deve pur sempre essere apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivo, con conseguente esclusione della rilevanza della mera percezione negativa che di detta violazione abbia avuto l'agente".

Posta tale premessa, la Suprema Corte prosegue spiegando che "nel caso di specie, la Corte territoriale ha escluso che alla base dell'invettiva a mezzo social, posta dalla ricorrente, vi fosse una condotta della persona offesa definibile come "ingiusta" su di un piano di valutazione oggettivo" e questo in quanto la richiesta rivolta all'imputata di contenere la condotta vivace del proprio bambino e la richiesta di portarlo via anticipatamente dalla festa dove lo stesso si trovava, non potevano ritenersi richieste ingiuste, né al contempo era stato provato che la vittima aveva in alcun modo offeso l'agente.

Sul motivo di ricorso riguardante l’art. 131 bis del codice penale (non punibilità per particolare tenuità del fatto) la Suprema Corte si è espressa accogliendo il ricorso e disponendo un rinvio ad altro giudice di appello per valutare effettivamente la sussistenza dei requisiti per l’applicazione della causa di esclusione in oggetto.

Spetta quindi al giudice di appello di rinvio stabilire se la donna possa godere o meno della causa di esclusione ed evitare la pena.

Note Autore

Angelo Andreozzi Angelo Andreozzi

Giurista in materia di protezione dei dati, addetto alle relazioni con il pubblico presso Federprivacy.

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