Auto connesse: molte comodità in cambio della rinuncia alla vostra privacy
Secondo le stime di McKinsey, entro il 2030 le auto connesse ad internet saranno il 95% del totale, e nel bene e nel male gli autoveicoli moderni non sono più un semplice mezzo di trasporto, ma stanno diventando sempre più digitali e simili proprio agli smartphone a cui vengono spesso collegati, con tanto di webcam davanti e didietro, sistemi di geolocalizzazione, e app che raccolgono enormi quantità di dati, comprese le informazioni personali dei rispettivi conducenti.
(Nella foto: Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy)
E proprio come è avvenuto con i telefoni cellulari negli ultimi anni, adesso anche per le autovetture quello dei dati è diventato un vero e proprio business che fa gola alle case automobilistiche e all’intero ecosistema di aziende Hi-Tech che vi si è rapidamente sviluppato attorno, tanto è vero che l’Alliance for Automotive Innovation, che comprende i produttori del 98% dei veicoli venduti negli Stati Uniti, nel giugno del 2020 ha richiesto di modificare la definizione dei “dati personali” nelle normative sulla privacy per cercare di farne escludere i “dati pseudonimizzati”, trascurando che nella maggior parte dei casi anche con questo tipo di dati resterebbe comunque possibile risalire facilmente all’identità degli interessati e offrendo quindi ben poche garanzie di anonimizzazione.
Quello della privacy è un problema rilevante per gli automobilisti che guidano vetture che sono connesse alla rete, perché se di solito si sa che raccolgono dati che riguardano il veicolo stesso, come la temperatura del motore o la pressione degli pneumatici, d’altra parte esse sono in grado di conoscere molte altre informazioni sui loro conducenti, come ad esempio chilometri e itinerari percorsi, luoghi visitati, eventuali eccessi di velocità, stili di guida e tempo trascorso al volante. Ma dalle attività di data analysis le auto intelligenti possono anche potenzialmente ricavare dettagli delicati sulla salute come la frequenza dei battiti cardiaci o l’eventuale aumento di peso del conducente, oppure possono sapere se questo si apparta in un luogo isolato in un orario insolito e in compagnia di un passeggero, ed altre informazioni sensibili che incidono sulla sfera privata dei loro utilizzatori.
Inoltre, quando l’autista usa il Bluetooth per collegare il proprio smartphone all’auto, quest’ultima acquisirà automaticamente tutte le informazioni che vengono sincronizzate dal sistema, compresi i contatti della rubrica, la cronologia delle chiamate effettuate, e la messaggistica utilizzata tramite app come WhatsApp e Telegram.
Per tali ragioni, è facile immaginare perché molti autoveicoli di nuova generazione nel corso degli anni siano stati riprogettati rispetto alle logiche tradizionali, escogitando vari metodi per persuadere i conducenti a connettere i propri telefoni alla dashboard dell’auto, come ad esempio mettendo a loro disposizione delle prese USB direttamente nel cruscotto, fornendo un pratico sistema vivavoce anziché dotare l’auto di un proprio telefono, oppure non installando un navigatore autonomo nel computer di bordo, e facendo invece in modo che l’autista colleghi il proprio telefono per raggiungere una certa destinazione utilizzando Google Maps sul display della macchina.
Non sarà neanche passato inosservato il fatto che nel giro di pochissimi anni i lettori CD siano andati rapidamente a scomparire dalle auto connesse inducendo gli automobilisti ad ascoltare la musica preferita attraverso le varie app dello smartphone che consentono di gestire comodamente delle proprie playlist, o anche semplicemente lasciare che a proporre le canzoni sia YouTube, che conosce già bene i loro gusti grazie alla profilazione sistematica degli utenti.
E se collegare il proprio smartphone ad un’auto intelligente comporta di fatto la rinuncia alla privacy e la condivisione dei propri dati personali, un recente sondaggio condotto dall’Automotive Industries Association of Canada ha evidenziato che il 72% degli automobilisti intervistati non ha affatto consapevolezza di quali informazioni vengano effettivamente trasmesse tramite i propri dispositivi e non ha un’idea chiara riguardo alle mani in cui finiscono i loro dati e se vengano analizzati e poi utilizzati non solo per la manutenzione e il monitoraggio delle prestazioni dell’auto, ma anche per eventuali finalità di marketing. D’altra parte, bisogna ammettere che non è proprio tutta colpa degli automobilisti, perché anche se essi volessero prendersi il tempo per capirci qualcosa, spesso le informative sulla privacy delle auto connesse sono tutt’altro che trasparenti, e in molti casi non si riesce neppure a capire come revocare i consensi dati precedentemente o come e se sia possibile disconnettere l’auto da internet nei momenti in cui ci si volesse ritagliare un briciolo di privacy.
In questo momento storico di transizione digitale e di notevole espansione delle auto connesse, in molti paesi il rischio reale è che i legislatori vengano colti negligentemente alla sprovvista e che in pochi anni ci potremo trovare con miliardi di auto che a livello mondiale avranno poco o nessun rispetto della privacy degli automobilisti.
Se può consolare, almeno per quanto riguarda il nostro continente, nel marzo 2021 l’European Data Protection Board ha emanato le “Linee guida 01/2020 sul trattamento dei dati personali nel contesto dei veicoli connessi e delle applicazioni legate alla mobilità”, che perlomeno richiamano al rispetto delle regole dettate dal GDPR e forniscono molte modalità applicative delle norme, delineando così anche le conseguenti possibili casistiche sanzionatorie per le violazioni del Regolamento UE.
di Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy (Nòva Il Sole 24 Ore)