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Il diritto a non dover scegliere tra più privacy e più salute

Si sente spesso dire che il diritto alla privacy è nemico giurato del diritto alla salute e che si potrebbe fare tanta più ricerca medico-scientifica e curare i pazienti in maniera molto più efficace se solo il diritto alla privacy non si mettesse così spesso di traverso. Un tema al centro dell’attenzione anche in occasione di un recente convegno su sanità digitale, dati e intelligenza artificiale "Digital Health by Design" al Ministero della Salute, dove ho avuto il piacere di partecipare.

Ebbene, è una narrativa fuorviante che produce l’unico risultato di esacerbare un antagonismo e una contrapposizione tra diritti che non ha ragione di essere e che non deve esservi. Il compito, il dovere, il fine ultimo dell’azione di qualsiasi Governo è o, almeno, dovrebbe essere, quello di non porre mai una persona nella condizione di scegliere tra diritti, specie se i diritti in questione sono fondamentali, specie se sono pari-ordinati, specie se sono preziosi tanto quanto lo sono, ad esempio, il diritto alla salute e il diritto alla privacy.

Mai si dovrebbe chiedere a qualcuno di scegliere se voglia più privacy o più salute.

Ma, ovviamente, altrettanto vale per ogni altro diritto: privacy e sicurezza, privacy e impresa, privacy e trasparenza. Le persone hanno diritto di non dover scegliere tra diritti fondamentali e a poter beneficiare di tutti senza rinunciare a nessuno.

E, in effetti, non c’è davvero ragione perché non debba essere così.

Ma certamente non c’è ragione per raccontare – salvo, naturalmente, una scarsa conoscenza del terreno di gioco o la malafede – che il diritto alla privacy sia nemico, rivale, antagonista del diritto alla salute e che "per colpa" della privacy i dati personali non possano circolare quanto sarebbe necessario circolassero per garantire un miglior funzionamento del sistema sanitario e di quello della ricerca medico-scientifica.

Non può essere così e non deve essere così per una serie di ragioni. La prima è che la nostra Corte Costituzionale ci ha insegnato, a più riprese, che non esistono diritti-tiranni, ovvero diritti di fagocitare e travolgere altri diritti. Mai, quindi, il diritto alla privacy potrebbe ergersi a ostacolo rispetto al diritto alla salute. E, naturalmente, viceversa.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, d’altra parte, mette nero su bianco che nessun diritto – neppure appunto tra quelli fondamentali – è assoluto e che, al contrario, ogni diritto può sempre essere compresso – non cancellato, non ignorato, non dimenticato – nella misura minima necessaria a garantire l’esercizio di un altro diritto pari ordinato.

La regola, insomma, è quella del bilanciamento e non quella dell’antagonismo tra diritti.

È bilanciando tra diritti solo apparentemente rivali che si garantisce il più sacro di tutti i diritti: quello delle persone – prima ancora che dei cittadini – a non dover scegliere.

E, d’altra parte, già il titolo della disciplina europea della privacy suggerisce una conclusione di questo tipo giacché, contrariamente a quanto spesso si dice - in buona misura, per colpa dell’acronimo Gdpr - non è semplicemente "Regolamento generale sulla protezione dei dati personali", ma prosegue, aggiungendo, "…nonché sulla loro libera circolazione".

Qui le parole sono più importanti che altrove perché consentono di interpretare in maniera corretta l’obiettivo della disciplina europea: non già limitare la circolazione dei dati personali ma, al contrario, massimizzarla proprio grazie a un insieme di regole uniformi.

Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali

(Nella foto: Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali)

Nessun antagonismo, dunque, tra il diritto alla privacy e l’esigenza che i dati personali circolino liberamente, tra l’altro, per garantire il diritto alla salute delle persone.

E ne abbiamo avuto, d’altra parte, una rappresentazione plastica durante i giorni drammatici della pandemia giacché, proprio grazie alle regole del Gdpr, l’Europa è riuscita a mettere in pista, più velocemente che altrove, il Green Pass, nella sostanza un passaporto sanitario, capace di far circolare alcuni tra i dati personali più sensibili, sempre e in quel periodo in maniera particolare.

Difficile immaginare un risultato analogo se l’Europa non avesse disposto di un quadro di regole uniformi in materia di protezione dei dati personali.

Senza dire che il legislatore europeo ha scavato nella disciplina della protezione dei dati personali, gallerie importanti e disegnato ampie corsie preferenziali proprio per garantire che salute e ricerca strumentale a garantirla non rimanessero prigioniere delle regole.

Ma, allora, cosa fare per mettere in pratica l’arte del bilanciamento e non sentir più dire che c’è qualcuno che sta male o potrebbe star meglio ma non si può curare per colpa della privacy?

La prima regola è il dialogo interdisciplinare che troppo spesso manca.

La seconda è la conoscenza delle regole del gioco che potrebbe scongiurare il rischio di equivoci e fraintendimenti.

La terza passa per la consapevolezza che preoccuparsi della salute di una persona non significa solo guardare alle sue condizioni fisiche ma anche alla sua dignità e il diritto alla privacy è diritto-strumento rispetto alla dignità delle persone.

C’è spazio, insomma, per "deporre le armi" e cercare, necessariamente caso per caso, strade e soluzioni capaci di garantire alle persone il diritto a non dover scegliere tra diritto alla salute e diritto alla privacy.

di Guido Scorza (Fonte: Il Sole 24 Ore)

Note sull'Autore

Guido Scorza Guido Scorza

Componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali. Twitter: @guidoscorza

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