Guerra informatica, è corsa agli armamenti
Pochi giorni fa la Honda ha subito un attacco informatico alla sua rete aziendale che ha compromesso le operazioni della società in tutto il mondo; alcuni stabilimenti sono stati completamente chiusi e il servizio assistenza clienti si è dovuto fermare. Secondo la casa di Tokyo, il problema ha riguardato i suoi server, i sistemi di posta elettronica e altri programmi interni che sono stati infettati da un virus informatico introdotto da un attacco da parte di più hacker.
Qualche tempo fa, invece, fece scalpore il fatto che l'Fbi fosse riuscita ad «aprire» lo smartphone del terrorista autore della strage di San Bernardino (16 morti e decine di feriti in un centro sociale per disabili in California) contro la volontà di Apple (che intendeva così dare un segno di come tutelasse la privacy dei propri clienti) grazie ad un'azienda che utilizzava alcuni dei più abili (e temuti) hacker del mondo. Due esempi di natura opposta che indicano come il fenomeno hacker può avere declinazioni sicuramente negative ma anche, paradossalmente, positive.
Ma che cos'è un «hacker»? Il termine è un inglesismo peraltro ormai inevitabilmente connesso a crimini informatici. Indica qualcuno che riesce ad inserirsi in un sistema o in una rete senza (o addirittura, contro) la volontà dei legittimi gestori. La storia degli hacker è relativamente lunga e, come detto, non sempre completamente negativa: alcuni hacker hanno (molto spesso involontariamente) contribuito a rendere più sofisticati ed efficaci i sistemi di sicurezza di rete così come importante è stato ed è il loro rapporto con il movimento «open source» (che molto deve all'americano Eric Raimond, uno degli hacker più noti al mondo). Ha poi raccolto particolare attenzione sui media il gruppo cosiddetto Anonymous che ha rivendicato nel tempo una serie di spettacolari azioni di disturbo sulla rete anche a siti italiani (nonché qualche anno fa la chiusura per molte ore del sito web ufficiale del Vaticano).
(Nella foto: Mauro Masi, Presidente di Consap, delegato italiano alla Proprietà intellettuale)
Ma l'attività degli hacker può andare molto al di là di queste azioni più di immagine che di sostanza ed entrare in territori di ben altra rilevanza e pericolosità. Secondo infatti uno studio di Security defense agenda – Sda (il principale think tank specializzato nel settore con base a Bruxelles e da poco associato al centro non profit Friends of Europe) il 57% degli esperti mondiali di sicurezza informatica ritiene che sia in atto una corsa agli «armamenti» informatici in vista di una possibile «cyber-war», di una guerra informatica. Una guerra i cui prodomi potrebbero già esistere; secondo media Usa di solito molto ben informati, la Nato avrebbe segnalato in un proprio report che il numero di attacchi ai siti del Congresso e delle agenzie governative Usa in patria e nel mondo, è cresciuto in maniera esponenziale, si parla addirittura di 1,6 milioni di attacchi al mese.
Il tema, naturalmente, riguarda soprattutto la sicurezza tra Stati ma è crescente anche la guerra cibernetica tra privati, capitolo molto rilevante della guerra economica tra le grandi corporation mondiali che, tra l'altro, da tempo investono miliardi di dollari all'anno per difendersi da attacchi informatici (anche assumendo hacker). C'è da chiedersi quanto i riflessi di questa guerra, silente ma non per questo meno cruenta, influenzino l'atteggiamento di alcune grandi «lobby» economiche mondiali (quella delle industrie dell'high tech, quella delle telecom) nei confronti della rete e di una sua eventuale regolamentazione a livello internazionale.
Fonte: Italia Oggi del 13 giugno 2020 - Articolo di Mauro Masi