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È imparziale un Giudice “amico” su Facebook?

Il Giudice deve essere imparziale, equidistante tra le parti. È un principio universale del giusto processo declinato in maniera diversa in tutti gli ordinamenti dei Paesi democratici. E, naturalmente, se il Giudice chiamato a decidere una causa è amico di una delle parti tale imparzialità va a farsi benedire o, almeno, l’apparenza è che tale imparzialità vada a farsi benedire e tanto basta per minare alla radice la credibilità del giudice e con esso del giudizio.

In alcuni casi nei quali i suoi interesse nella causa o la sua vicinanza a una delle parti è più evidente il giudice deve astenersi e, in altri casi, nei quali, comunque, potrebbe sussistere un sospetto di non imparzialità è opportuno che il Giudice si astenga.

E non conta nulla che rettitudine, rigore, etica e morale del singolo Giudice sarebbero comunque in grado di garantire un giusto processo e, magari, veder prevalere le ragioni della parte non amica su quella amica.

Regola e principio antichi, garanzie preziose di una giustizia quanto più giusta possibile.

Ma regole sulle quali, da qualche anno, si è abbattuto il fenomeno socialnetwork.

E il quesito che rimbalza da una parte all’altra dell’oceano almeno da una decina d’anni è sempre lo stesso: può considerarsi imparziale un Giudice “amico” di una delle parti su Facebook?

Le risposte delle più alte Corti in Francia, in Svizzera e negli Stati Uniti sin qui sono state affermative.

La semplice “amicizia” su Facebook non è una vera amicizia e, dunque, non inficia, di per sé, l’imparzialità del Giudice.

Anche se non manca qualche codice etico – specie oltreoceano – relativo ai rapporti tra Giudici e Avvocati che suggerisce come eticamente inopportuno che un Giudice giudichi in una causa nella quale una delle parti è assistita da un suo “amico” su Facebook.

Ma, forse, il problema è ora al capolinea perché la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata chiamata a pronunciarsi esattamente su questa questione da una mamma che, in Svizzera, non ha accettato l’idea che a decidere dell’affidamento del suo bambino dopo una separazione sia stato un Giudice “amico” su Facebook dell’ex marito.

Certo le “amicizie” virtuali non sono amicizie vere o, almeno, non lo sono necessariamente.

Tutto dipende dal contenuto che si da a quel link, a quella relazione, a quel rapporto che innegabilmente esiste ma che può essere consapevole o scarsamente consapevole – perché spesso accettiamo “amici” su Facebook senza avere alcuna idea di chi siano – superficiali o profonde, di semplice comunanza di interessi o, invece, di forte e inscindibile appartenenza a un credo, a una fede, a un’ideologia, a un gruppo o a un partito.

Ma quali sono i parametri per giudicare dell’intensità di un’amicizia su Facebook?

Se un Giudice ha spesso messo like ai post o alle immagini di un “amico” gli è amico vero?

E se i like li ha ricevuti? E se ha commentato un post del suo “amico” su Facebook? E se ne ha commentati cinque? E quante faccine sorridenti deve aver messo o ricevuto perché quell’amicizia virtuale debba considerarsi capace di inficiare la sua imparzialità o, almeno, apparire tale da inficiarla?

Non resta che attendere la decisione dei Giudici di Strasburgo e, frattanto, riflettere una volta di più su quante sfide – piccole e grandi – l’impatto delle nuove tecnologie pone alle nostre regole e ai più fondamentali dei nostri principi.

E siamo solo all’inizio perché nei tempi che verranno, quelli della convivenza tra uomini e robot, oggetti connessi e intelligenza artificiale le sfide si moltiplicheranno giorno dopo giorno.

Etica, logica, competenze anche e soprattutto tecnologiche, buon senso devono diventare nostri fedeli compagni di viaggio se vogliamo esser certi che il futuro sarà migliore del passato.

Fonte: L'Espresso - Articolo di Guido Scorza

(L'intervento di Guido Scorza all'8° Privacy Day Forum)

Note Autore

Guido Scorza Guido Scorza

Componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali. Twitter: @guidoscorza

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