I messaggi WhatsApp sono considerati validi come prova in un processo
I messaggi WhatsApp sono prove valide in processo. Una volta depositati serve però una perizia tecnica sul dispositivo, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale in materia. È quanto emerge da un'ordinanza emessa dal Tribunale di Urbino nell’ambito di una causa nel corso della quale il giudice aveva incaricato un ingegnere di svolgere la CTU (consulenza tecnica d’ufficio) sul telefonino, ordinandogli di acquisirlo.
L’ordinanza riguarda una causa nella quale un creditore esigeva il pagamento di quanto ad egli dovuto dal debitore. Quest’ultimo, però, si opponeva sottolineando che data l’assenza di una Pec o altri documenti scritti, come una raccomandata, contenenti la richiesta di pagamento, il credito era da considerarsi prescritto.
L’avvocato difensore del creditore, aveva chiesto allora di ammettere come prove alcuni messaggi scambiati tra i due sulla nota piattaforma di messaggistica istantanea, ricevendo l’approvazione del Tribunale di Urbino.
Nell’ordinanza emessa il 7 giugno 2024 dal Tribunale di Urbino, il giudice ha ammesso i messaggi di WhatsApp depositati come valida prova, spiegando che essi “possono assumere la veste di prova in quanto, con l’avvento delle nuove tecnologie, sempre più persone si affidano, anche per le pratiche commerciali, a short messages o altro tipo di messaggeria”.
È lo stesso codice civile, al suo art. 2712, prosegue il Tribunale, a disporre che “ogni rappresentazione meccanica di fatti e cose forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate”, mentre l’art. 2719 stabilisce che “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche se la loro conformità all’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”.
Posto che la parte debitrice non aveva disconosciuto la paternità dei messaggi depositati, il giudice ha ammesso le prove, ma specificando la necessità di verificare con perizia l’autenticità delle conversazioni e la collocazione temporale dei messaggi. Infatti, con sentenza n. 49016/2017 la Corte di Cassazione ha posto un importante paletto all’utilizzabilità come prova di simili scambi, chiarendo che hanno valore a condizione che siano acquisiti i supporti informatici "contenenti la relativa registrazione al fine di verificare l'affidabilità, la provenienza e l'attendibilità del contenuto di dette conversazioni"