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In un mondo interconnesso e in una realtà immateriale come quella della rete, "la barriera territoriale appare sempre più anacronistica", afferma il presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali Antonello Soro, da novembre 2014 alla guida di un gruppo di lavoro che riunisce le authority per la privacy dei Paesi europei. Il quale esorta a leggere in controluce la sentenza della Corte di giustizia Ue del Lussemburgo che da ragione a Google in materia di diritto all'oblio:

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L'informazione di essere stato amministratore di una società fallita non si può cancellare, invocando la legislazione sulla privacy, anche se è una notizia negativa per la reputazione. Non cala l'oblio sul registro delle imprese tenuto dalle camere di commercio. È la Cassazione, sezione prima, a dirlo, con un'ordinanza adottata dopo avere interessato la Corte di giustizia Ue, per avere la corretta interpretazione della normativa italiana rispetto alla disciplina europea sul trattamento dei dati personali.

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Google non dovrà applicare il diritto all'oblio su scala globale: il motore di ricerca non sarà obbligato a rimuovere i link a contenuti che alcuni utenti non vorrebbero più far vedere in nome del diritto all'oblio, fuori dall'Unione europea. La decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea farà sì che i contenuti che in Europa sono considerati "dimenticabili" potranno essere in ogni caso visibili nei risultati di ricerca di Google all'esterno dell'Unione.

Il 23 febbraio la Commissione Europea ha presentato il Data Act, la proposta di un regolamento europeo che consenta a cittadini ed imprese di esercitare maggior controllo su tutti quei dati, personali e non, che generiamo ogni giorno. Si tratta di un altro tassello nella strategia digitale europea presentata da Bruxelles nel 2020.

Uno dei temi più seguiti dagli addetti ai lavori è quello del «diritto all'oblio», in particolare quando e se questo diritto deve prevalere sul diritto di cronaca e di espressione. Mi viene segnalata, al riguardo, una recentissima determinazione del nostro Garante per la privacy relativa all'eventuale cancellazione di un articolo dell'archivio online di un quotidiano.

Frenata della Cassazione sul diritto all'oblio su internet. Per la Suprema corte se va riconosciuto il diritto alla deindicizzazione dei risultati con cui il motore di ricerca associa il nome di un privato cittadino ad una vicenda giudiziaria di interesse mediatico ma ormai superata, resta invece in forse la pretesa di eliminare in toto la notizia attraverso la cancellazione anche delle pagine e delle copie cache. Va infatti operato un "bilanciamento" prima di impedire completamente l'accesso alla informazione relativa alla vicenda qualora operata mediante altre chiavi di ricerca. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 3952/2022, ha così accolto il ricorso di Yahoo! Emea Limited e Yahoo Italia Srl contro il Garante della Privacy.

Resta anonima la madre biologica che, al momento dell'interpello del figlio a volerne conoscere l'identità, sia affetta da grave patologia psichica che non le consenta di esprimere una valida revoca della volontà di non essere nominata, dichiarata al momento del parto. La Corte di cassazione con la sentenza n. 7093/2022 ha rigettato definitivamente la pretesa del figlio a sapere chi fosse la propria madre, in quanto questa era in stato di grave decadimento psichico e dimostrava di non ricordare neanche più l'evento della nascita. I giudici hanno ritenuto che la donna non potesse validamente revocare una volontà espressa 40 anni addietro e mai intaccata da comportamenti che la smentissero.

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Il diritto alla privacy del singolo si scontra - o meglio va raccordato - con quello alla libera informazione. Così anche un libro di taglio giornalistico, che riporti fatti risalenti nel tempo, non può, solo in base a tale circostanza temporale, essere considerato privo di qualsiasi interesse per la collettività, come invece sosteneva il ricorrente. Quest'ultimo, oltre al risarcimento del danno per l'asserita violazione della privacy, aveva domandato ai giudici anche la deindicizzazione del proprio nominativo dai motori di ricerca su internet in conseguenza del suo esercizio del diritto all'oblio. Infatti, digitando su google il suo nominativo, appariva subito il sito che offriva al pubblico il libro incriminato e di cui aveva chiesto il ritiro dal commercio.

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Per dare attuazione al "diritto all'oblio", le Autorità italiane - e cioè il Garante per la privacy ed anche i giudici - possono ordinare, in conformità al diritto Ue, al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione globale: il cd. global delisting o global removal. Un repulisti esteso dunque anche ai Paese extra europei, andando a incidere sulle versioni del motore al di fuori dell'Ue. La decisione dovrà essere presa all'esito di un bilanciamento tra il diritto della persona alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei dati personali e il diritto alla libertà d'informazione, tuttavia - e questo è un altro passaggio decisivo - tale valutazione va fatta "secondo gli standard di protezione dell'ordinamento italiano", senza dunque badare alle regole vigenti nei paesi esteri.

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Il tempo per essere dimenticati dalla Rete non è uguale per tutti. A pesare sul diritto all’oblio di chi è coinvolto in un procedimento penale o è sottoposto a indagini, una serie di variabili che vanno dalla gravità del fatto alla notorietà del soggetto coinvolto. Maggiore è l’interesse pubblico della notizia, più dilatato sarà il tempo necessario per ottenerne la deindicizzazione.

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