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Angelo Lo Bello

Dottore Magistrale in giurisprudenza indirizzo avvocato d’affari e giurista d’impresa, dottore in servizi giuridici alle imprese indirizzo Consulente del lavoro. Data Protection Officer certificato EiPass. Socio membro di Federprivacy

L’impiego massivo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, caratterizzanti l’attuale sviluppo tecnologico di (quasi) tutti i settori produttivi, implica profonde riflessioni circa gli effetti che essi comportano nelle nostre vite, e diverse nuove figure professionali che emergono vedono la privacy come protagonista.

Non solo responsabilità per il Consulente del Lavoro in ambito privacy, ma anche opportunità che possono rappresentare uno stimolo per la crescita professionale che potranno arricchire il ventaglio di offerta destinato alla propria clientela.

I trattamenti dei dati personali effettuati in maniera etica, responsabile, trasparente e lecita produrranno una elevata reputazione del datore di lavoro che si tradurrà in una contrazione del turnover e in una probabile valutazione positiva del clima aziendale

Tutela della riservatezza e adempimenti degli amministratori di condominio rappresentano un binomio ricco di insidie che possono sfociare in una violazione della riservatezza dei condòmini. Lo ha ribadito, ancora una volta, la Suprema Corte con la pronuncia dell’ordinanza n. 29323 del 7 ottobre 2022.  Il ricorso, avente ad oggetto trattamento illecito di dati personali e conseguente richiesta di risarcimento del danno, è stato proposto avverso la pronuncia del Tribunale di Bari (n. 3453/2020 depositata il 11/11/2020).

A poco più di un mese dalla sua entrata in vigore la legge cinese sulla protezione dei dati personali, la Personal Information Protection Law (PIPL), ha attirato l’attenzione degli studiosi di privacy di tutto il mondo considerato il suo impatto potenziale nelle relazioni commerciali internazionali. Promulgata il 20 agosto 2021, ed entrata in vigore il 1° novembre di quest’anno, la PIPL è stata già da molti considerata una pietra miliare, con capofila il GDPR, nell’evoluzione della data protection.

Dall’entrata in vigore del Regolamento Europeo 2016/679 i soggetti sottoposti alla sua applicazione si sono trovati a dover adeguare i processi gestionali relativi ai dati personali trattati, sia degli interessati esterni alla realtà aziendale sia ai dati dei propri dipendenti e collaboratori. Dal maggio 2018 si è assistito, infatti, ad una convulsa ed improduttiva corsa all’ottenimento del miglior modulo per l’informativa privacy o all’acquisto di software nel tentativo di eliminare il costo del data protection officer (DPO o RPD), avendo al contempo un completo formulario per adeguare la documentazione aziendale; con totale travisamento delle finalità (e degli adempimenti, non solo e non tanto formali) previsti dal Regolamento.

L’Autorità Garante è tornata sull’annosa questione del precario equilibrio tra obblighi di trasparenza, in capo alle PP.AA. – lato sensu – e i diritti degli interessati, infliggendo una sanzione amministrativa di Euro 2.000 per trattamento illecito dei dati personali con il provvedimento n. 255 del 24 giugno 2021. Il caso in questione riguarda la violazione dei diritti di una dipendente che vedeva pubblicati, nella sezione “Trasparenza Amministrativa” del sito internet dell’Istituto Scolastico, alcuni suoi dati personali riguardanti, in particolare, informazioni relative lo stato di salute (dati sanitari).

La protezione delle informazioni personali e il rispetto della vita privata vale anche nel pubblico impiego dove permane, comunque, una ragionevole aspettativa di riservatezza. Questo è uno dei principi ribaditi nel provvedimento del Garante Privacy n. 190 del 13 maggio 2021 con il quale ha irrogato una sanzione da 84 mila euro al Comune di Bolzano per aver tratto illecitamente i dati dei propri dipendenti in violazione degli artt. 5, 6, 9, 88 e 35 del GDPR, nonché 113 e 114 del Codice Privacy.

A causa della situazione pandemica, che dallo scorso anno ha investito anche il nostro paese modificando la fisionomia del mercato del lavoro, il Governo - con il DPCM del 1 marzo 2020 - ha previsto la possibilità per i datori di lavoro di attivare, in deroga all’art. 18 della L. 81/2017, lo smart working in modalità semplificata, ovvero senza la stipula di un previo accordo individuale con il lavoratore. Tale modalità scadrà, salvo proroghe, il 30 aprile 2021. L’art. 19 del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183 (c.d. Decreto Mille Proroghe) convertito con modificazioni in Legge 26 febbraio 2021, n. 21 ha, infatti, confermato nuovamente la procedura semplificata già adottata a marzo 2020 sino a tale data.

TV9, il presidente di Federprivacy alla trasmissione 9X5

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