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Lo smart working è la “nuova” prassi. E nuovo è l’interesse per le disposizioni che riguardano le possibilità, e soprattutto i limiti, del controllo sull’attività dei dipendenti. Specialmente da remoto. La disciplina trova le proprie fonti nel diritto del lavoro e della privacy. Ma non va dimenticata la sua rilevanza per il diritto penale e, a determinate condizioni, anche per l’ente datore di lavoro, in virtù della responsabilità amministrativa da reato ai sensi del D.Lgs. 231/01.

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La forte diffusione dello smart working registrata negli ultimi mesi, dovuta in gran parte all'emergenza pandemica tutt'ora in corso, rende particolarmente scottante il controllo a distanza sull'impiego da parte dei lavoratori degli strumenti e dei sistemi informatici aziendali, sulla prestazione lavorativa e sulla commissione di illeciti. L'unico modo per controllare il dipendente che lavori da casa è "in remoto", sulla base dei dati e delle informazioni che la tecnologia oggi consente.

Pasticciaccio delle responsabilità per lo smart working. Quando il dipendente pubblico in lavoro agile usa il proprio computer o altri suoi dispositivi il datore di lavoro non è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici. È quanto discende dall'articolo 87 del decreto legge 18/2020, che sterilizza l'efficacia dell'articolo 18, comma 2, della legge 81/2017. La disposizione non chiarisce, però, chi risponde della sicurezza e del buon funzionamento. Ma vediamo di approfondire la questione. In periodo di pandemia il lavoro agile è stato incentivato dalla legge e, in molti casi, dall'oggi al domani le amministrazioni si sono trovate a dover utilizzare prestazione lavorative svolte da casa dai propri dipendenti.

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Recentemente una notissima azienda di produzione di software ha presentato uno strumento informatico che consente di individuare un dipendente per nome e vedere il numero di ore che ha trascorso in riunioni da remoto negli ultimi 28 giorni e di conoscere il numero di giorni in cui è stato attivo su determinati programmi, sempre predisposti dalla stessa azienda. I datori di lavoro possono anche vedere il numero di giorni in cui un lavoratore ha inviato e-mail o il numero di volte in cui la videocamera è stata accesa in riunione. Vi sarebbero 73 dati specifici sul comportamento dei lavoratori ai quali i datori di lavoro avrebbero accesso. Non viene notificato ai dipendenti quali comportamenti possano essere monitorati.

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Giovedì, 22 Aprile 2021 07:24

Una BIA per i BYOD

Ci vuole una valutazione di impatto per i BYOD. Questo vale sia da un punto di vista strettamente giuridico, sia da un punto di vista dei meccanismi delle relazioni aziendali e sociali. La destrutturazione dell’azienda come complesso di strumenti ubicati nella sede di produzione di beni e servizi, oramai, è un fatto. Ma non per questo ci si può limitare a fare gli spettatori, perché è una vicenda troppo importante da perdonare la nostra inerzia. È una vicenda, infatti, che porta molte conseguenze sul piano della progettazione del modello organizzativo privacy, e che deve essere valutata in tutte le sue sfaccettature sociologiche e culturali.

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Arezzo TV, lo speciale dedicato al Privacy Day Forum 2024

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