Mutui, la banca è corresponsabile per l’identità del cliente
Oltre al notaio, anche la banca è tenuta a verificare l'esatta identità del proprio cliente che stipula il mutuo. E non può invocare l'omesso o superficiale accertamento da parte del notaio come esimente o attenuante della propria responsabilità. Lo ha affermato la Terza sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza 27599/2019, depositata il 29 ottobre.
La pronuncia riguarda una fattispecie per la quale - in affianco alla dichiarata nullità di una procura notarile e di un collegato atto di compravendita, seguito dalla stipula di un mutuo fondiario, a favore di persona rivelatasi poi soggetto inesistente (nullità peraltro dichiarata per effetto di un separato giudizio civile) - era stata riconosciuta dalla Corte d'appello una paritetica responsabilità del notaio rogante e della banca mutuante per la superficiale verifica dell'identità del cliente.
Da qui il ricorso in Cassazione da parte della banca per sentire affermare la esclusiva e assorbente responsabilità del rogante ed escludere ogni concorso di responsabilità a proprio carico.
Ma i supremi giudici, confermando la sentenza impugnata, hanno ritenuto sussistente e non eludibile un siffatto concorso. Infatti rilevano come la banca avrebbe dovuto assumere - ai sensi dell'articolo 1227, 2 comma del Codice civile - una condotta attiva. Essa è espressione dell'obbligo generale di buona fede «diretta a limitare le conseguenze dell'altrui comportamento dannoso». Su questo la Cassazione cita le proprie sentenze 26639/2013 e Cass. 23134/2018.
Nè peraltro si può ignorare che, ai sensi dell'articolo 49 della Legge notarile (la n.89/1913), il notaio può raggiungere certezza della identità personale delle parti «anche al momento dell'attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento».
Va considerato pure che tra tali elementi possono ben figurare anche elementi “presuntivi” «purché...si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti...(Cassazione 9757/2005)».
Soprattutto - in parallelo con altra fattispecie analoga a quella presa in considerazione dalla Suprema Corte nell'ordinanza n.27599 - è stata ritenuta legittima l'identificazione della parte fondata, oltre che sull'esame della carta d'identità ( o altro documento equipollente), anche sul confronto della corrispondenza dei dati identificativi della parte con quelli riportati nella documentazione approntata dalla banca ai fini dell'istruttoria della pratica di mutuo. Anzi qualificando come contrario a buona fede o correttezza il comportamento della banca che, dopo aver predisposto la documentazione per la stipula del mutuo comprensiva anche dei dati identificativi del mutuatario, si sia lamentata della erronea identificazione compiuta dal notaio sulla base dell'apparente regolarità della carta d'identità (Cassazione 13362/2018).
Del resto, già in tempi non sospetti (Cassazione 15424/2004) il supremo organo giudicante aveva affermato con chiarezza il principio per cui non si può pretendere dal notaio - che pure esegua la propria prestazione professionale con diligenza, prudenza e perizia professionale - la garanzia di una perfetta sovrapposizione tra identità effettiva e identità attestata, rilevando che tra gli elementi che possono concorrere a formare il suo convincimento possa figurare la pregressa conoscenza tra le parti stesse, così come al notaio per ipotesi dichiarata.
Il che fa pendant, intuitivamente, con la circostanza per cui una delle parti (nella specie del contratto di mutuo stipulato) abbia addirittura espletato una preventiva istruttoria documentale da cui poter desumere riferimenti e indicazioni circa la presunta identità della controparte del rapporto bancario.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 14 novembre 2019