Illegittima la richiesta dello stato di famiglia al colloquio di lavoro
In fase di colloquio di lavoro e nell’ampio margine concesso al “potenziale” datore di richiedere informazioni e documentazione, sussistono, in ogni caso, ingenti limiti a tutela della riservatezza dell’aspirante dipendente. È opportuno conoscere quali possano essere i comportamenti da evitare in fase pre-assuntiva, ai fini della legittimità dell’instaurazione del rapporto.
La norma di riferimento è rappresentata dall’articolo 8 della legge 300/1970. Nello specifico, è fatto espresso divieto (sia in fase di assunzione che nel corso del rapporto) «di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore» e questo vale altresì per ogni fatto non rilevante «ai fini della valutazione professionale del lavoratore».
Dalla disposizione emerge in primo luogo l’assoluta illegittimità di domande sull’eventuale appartenenza (o sostegno) a un partito politico o a una confessione religiosa. In particolare, poi, il datore non può tentare di acquisire informazioni in merito all’organizzazione sindacale cui il candidato aderisce – o intende aderire una volta instaurato il rapporto di lavoro -posto che la tutela nei confronti del lavoratore è, peraltro, rinforzata dall’articolo 15, comma 1, lettera a) per cui è nullo ogni «patto o atto diretto a subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale».
Al netto delle ipotesi richiamate, il divieto deve estendersi a qualsivoglia richiesta legata alla sfera personale del lavoratore e sempre che non possa configurarsi un’attinenza – o una necessità in tal senso – con il rapporto di lavoro. Se, ad esempio, la richiesta sul possesso della patente di guida può inquadrarsi nell’ambito delle informazioni strettamente personali, l’illegittimità della richiesta viene meno ove l’utilizzo di un veicolo sia necessario al futuro svolgimento delle mansioni. Allo stesso tempo, è legittimo sottoporre il soggetto a test attitudinali purché tramite professionisti qualificati ed esclusivamente se, ancora, la relativa effettuazione sia richiesta dalla particolare natura delle mansioni. Lo stesso discorso vale per qualsiasi informazione sui titoli di studio acquisiti dal candidato e sulle pregresse esperienze lavorative.
Si ritiene, invece, sempre affetto da illegittimità il comportamento datoriale volto a indagare l’orientamento sessuale, la nazionalità e, soprattutto, la situazione familiare o i progetti futuri del candidato su questo fronte, e, in tal senso, non c’è dubbio che sia assolutamente preclusa la richiesta dello stato di famiglia.
Il datore di lavoro deve, con ciò, prestare particolare attenzione alla predisposizione delle domande e alla configurazione del colloquio, posto che, alle sanzioni in cui lo stesso può incorrere in forza della violazione della privacy, si aggiunge la possibile violazione delle norme antidiscriminatorie per alcune delle ipotesi richiamate, nell’ambito delle quali, l’articolo 27 del Dlgs 198/2006 assume una certa rilevanza, stabilendo il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro.
Fonte: Il Sole 24 Ore