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Facebook è stato infilzato ma Google non è più innocente

"Mister Zuckerberg, lei dove ha dormito questa notte?", chiede, tagliente, il senatore al giovane padrone di Facebook. L'altro, sorpreso, replica: «Scusi, non è una notizia rilevante per il nostro incontro!». Ma il senatore insiste: "E con quale carta di credito ha pagato il conto?". "Questi non sono affari suoi!", sbotta il re di Menlo Park, l'uomo che fino a pochi mesi fa si sentiva unto dal signore e predestinato alla Casa Bianca ed ora è nell'angolo. E fa male a spazientirsi, perché il senatore (durante l'audizione pubblica a Washington sullo scandalo delle mail dei visitatori vendute alla società di persuasione politica occulta Cambridge Analytics) lo infilza come un tordo: "Infatti, mister Zuckerberg. Lei non vuol dirmi queste cose, ma tutti gli utenti di Facebook, senza volerlo, a lei gliele dicono!".

Non è una parabola, è cronaca: e testimonia la profondità e gravita dello scandalo-privacy esploso attorno al social network più grande del mondo, per il quale il futuro non potrà mai più essere come il recente passato: si vedrà. Intanto, per contrappasso, l'Europa (e l'Italia in specie, dal 25 maggio prossimo) stanno per reagire a tanto disordine nel modo peggiore: stringendo inverosimilmente la vite contro le possibili violazioni della privacy da parte delle aziende normali, nell'uso delle mail o degli altri dati dei clienti, per cui chi dovesse violare una norma del ponderoso nuovo regolamento emanato dal Garante della privacy sulla scorta della direttiva Gdpr promulgata un anno fa dall'Unione europea rischia multe esiziali, calcolate in percentuali di fatturato!

È un mondo un po' strano, questo in cui viviamo. Oltre a Facebook, è anche (e forse soprattutto) Google a sapere tutto di noi, in base alle nostre ricerche in rete, per poterci meglio inondarci di pubblicità sgradita, e manipolare l'esito delle ricerche stesse evidenziando in primo piano i contenuti pubblicitari e non quelli più pertinenti; eppure non è, come meriterebbe, anch'essa e allo stesso modo sul banco degli imputati. È un mondo strano, perché a sapere i fatti nostri sono anche le banche di cui usiamo i Bancomat, i Comuni che ci riprendono con le telecamere ad ogni semaforo, le società autostradali per il Telepass, quelle telefoniche, quelle delle carte di credito. Siamo spiatissimi. E le nuove regole non ci proteggeranno.

L'antidoto? Prudenza e riservatezza. Si può anche stare sui social, per informarsi, ma meno si scrive e meglio è, se non si vuole far sapere i fatti nostri. E se si ha un'azienda, occhio: le nuove norme, costi quel che costi, vanno applicate, distrarsi potrebbe davvero costare molto di più, anzi costare la vita dell'impresa.

Fonte: Italia Oggi del 20 aprile 208

Note Autore

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