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Blogger colpevole in concorso con il diffamatore online

La responsabilità del blogger per i commenti diffamatori postati da utenti della rete - e non rimossi nonostante la segnalazione - è di natura concorsuale. La Corte di Cassazione con la sentenza 12546/19 fissa i presupposti di imputabilità dei gestori di siti/diari on line (blog, appunto), nel solco della giurisprudenza italiana ed europea maturata sul punto negli ultimi anni.

La Quinta penale ha respinto il ricorso del gestore di un blog siciliano condannato per diffamazione aggravata (dal «mezzo di pubblicità», comma 3 dell’articolo 595 del Codice penale), ripercorrendo le tappe dell’imputabilità per i reati commessi in rete.

La Corte ha innanzitutto escluso che la responsabilità del blogger per il fatto altrui sia assimilabile a quella del direttore di testate giornalistiche (manca sostanzialmente il requisito della professionalità dell’attività svolta, Sezioni Unite 31022/15), ma ha anche levato dal campo per gli stessi motivi l’ipotesi di culpa in vigilando (articolo 57 del codice penale).

Se da un lato ciò toglie le garanzie costituzionali sul mezzo virtuale - non essendo protetto dall’articolo 21 della Costituzione in materia di sequestro, per esempio - dall’altro rende più difficile l’inquadramento della responsabilità del blogger, che non è direttore ma non ha nemmeno una posizione di garanzia in senso tecnico-giuridico.

Quest’ultima circostanza non permette di applicargli neppure la responsabilità commissiva per omissione (articolo 40 capoverso del codice penale), non avendo il blogger alcun dovere giuridico di impedire l’evento lesivo. E poichè la diffamazione è un reato istantaneo - che si consuma cioè nel momento della divulgazione della notizia lesiva dell’altrui reputazione - secondo la Cassazione l’unico modo di uscirne è di contestare al blogger “inerte” nella rimozione dei commenti insultanti una “riappropriazione” della condotta diffamatoria altrui, a titolo pertanto concorsuale. In sostanza, scrive la Quinta, siamo di fronte a una «pluralità di reati integrati dalla ripetuta trasmissione del dato denigratorio».

A monte di questa decisione, il relatore ripercorre l’inquadramento della figura dell’Internet service provider/fornitore dei servizi di rete (mere condui t) non responsabile dei contenuti forniti fino all’avvenuta consapevolezza dell’illecito che si sta consumando attraverso il servizio digitale. Interessante il passaggio sul caching (memorizzazione automatica dei dati) che rimane neutrale solo se «non interferisce con le informazioni memorizzate». Pare di leggere qui la linea di demarcazione con le più moderne (rispetto ai blog) piattaforme di social networking.

Note Autore

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