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Una delibera assembleare non autorizza il datore di lavoro a mettere i dipendenti alla gogna di fronte ai loro colleghi

Si dovrà ora rassegnare a rispettare la normativa sulla privacy, la cooperativa di pulizie che ogni settimana affiggeva imperterrita nella bacheca aziendale un cartello con le foto dei lavoratori associate a delle “faccine” che rappresentavano i giudizi espressi su di loro e anche le eventuali contestazioni disciplinari adottate nei loro confronti, etichettandoli davanti a colleghi e perfino ad estranei con aggettivi come “assenteista”, “simulatore di malattia”, “scarso servizio”, oppure “licenziato”.

I giudici della Cassazione hanno ribadito che il consenso privacy è validamente prestato se libero, espresso e specifico rispetto a un dato trattamento

Nonostante l’intervento del Garante della Privacy che a dicembre 2018 aveva imposto il divieto a proseguire con tale trattamento chiaramente illecito e lesivo, la cooperativa aveva pure fatto ricorso per cercare dimostrare che tale condotta sarebbe stata invece del tutto legittima, in quanto i lavoratori sarebbero stati d’accordo all’esibizione delle “emoticons” abbinate ai loro volti e ai loro nominativi, perché avrebbero dato il loro consenso attraverso una delibera assembleare adottata a maggioranza.

Viola la privacy mettere alla gogna i lavoratori esponendo le valutazioni su di essi nella bacheca aziendale

Dopo oltre tre anni e un ricorso già respinto in appello, si è dovuti arrivare infine ad una pronuncia della Cassazione per avere definitiva conferma che quella sorta di concorso a premi che era stato istituito dalla cooperativa, che lo aveva denominato sarcasticamente “Guardiamoci in faccia”, era effettivamente illecito in violazione degli articoli 5-6-7 del GDPR e che ledeva la dignità, la libertà e la riservatezza dei lavoratori, i quali non potevano essere ritenuti consenzienti semplicemente per una decisione deliberata a maggioranza.

Infatti, la suprema Corte ha respinto la tesi proposta dalla cooperativa, ribadendo che, per essere valido, il consenso deve essere prestato in maniera espressa, libera e specifica.

Ciò significa che è legittimo il trattamento di dati personali solo se fondato su un consenso del singolo puntuale e specificatamente riferito alle modalità trattamentali previste.

Nella sentenza 17911/2022, i giudici di legittimità precisano che il principio, in base a cui il consenso è valido solo se specificatamente e volontariamente prestato, impedisce di affermare che il singolo lavoratore possa acconsentire tramite una delibera assembleare assunta a maggioranza. “Non si può far derivare” sottolinea la sentenza “dal voto assunto a maggioranza il consenso a un trattamento così invasivo come quello che mette a disposizione del pubblico dati personali relativi all'attività lavorativa e specificatamente mirato sui rilievi disciplinari”. E neppure “può quindi condividersi l'assunto secondo il quale il trattamento sarebbe stato comunque, nella specie, giustificato dal consenso espresso in seno al rapporto associativo venutosi a costituire liberamente tra i soci e la cooperativa”.

Esauriti tutti i tentativi disponibili che hanno confermato la correttezza del provvedimento dell’Autorità per la protezione dei dati personali, la cooperativa si dovrà quindi mettere definitivamente l’animo in pace e rispettare la normativa vigente, che in casi come questi tutela la privacy dei lavoratori.

Note Autore

Nicola Bernardi Nicola Bernardi

Presidente di Federprivacy. Consulente del Lavoro. Consulente in materia di protezione dati personali e Privacy Officer certificato TÜV Italia, Of Counsel Ict Legal Consulting, Lead Auditor ISO/IEC 27001:2013 per i Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni. Twitter: @Nicola_Bernardi

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Il presidente di Federprivacy al TG1 Rai

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