La Cassazione respinge il ricorso di Telecom contro il Garante Privacy e conferma il divieto di recupero del consenso dei dati personali
Confermato dalla Cassazione il divieto del Garante della Privacy nei confronti di Telecom di portare avanti la campagna "recupero consenso" per acquisire il via libera all'utilizzo dei dati dei clienti che, in precedenza, hanno escluso di voler essere contattati telefonicamente "per finalità promozionali". Ad avviso dei supremi giudici, - che hanno disatteso la tesi che tale campagna non sarebbe "riconducibile alla nozione di comunicazione commerciale" - "una comunicazione telefonica finalizzata ad ottenere il consenso per fini di marketing, da chi l'abbia precedentemente negato, è essa stessa una 'comunicazione commerciale'"
Con questa decisione, contenuta nella sentenza 11019/2021 della Prima sezione civile della Suprema Corte in tema di 'Privacy, Telecom, comunicazioni commerciali', la Cassazione ha respinto il ricorso dei legali della società telefonica contro la pronuncia del Tribunale di Milano del 5 maggio 2017 che aveva ritenuto legittimo il divieto emesso dal Garante il 22 giugno 2016, atto con il quale si vietava "l'ulteriore trattamento per finalità di marketing dei dati personali riferiti alle utenze oggetto della campagna 'recupero consenso'".
Ad avviso del Tribunale, non era consentito "vanificare la volontà degli interessati (che già avevano negato il consenso) mediante una campagna marketing in due tempi volta, prima, a riacquisire il consenso già negato e, dopo, a realizzare l'attività promozionale vera e propria, trattandosi di un trattamento illecito di dati, stante la intrinseca inscindibilità tra la campagna di acquisizione del consenso e la finalità di marketing". Secondo i magistrati di Milano, inoltre, "doveva essere inibita l'utilizzazione dei consensi comunque ottenuti, in quanto illecitamente acquisiti sulla base di un trattamento illecito di dati personali".
Anche per quanto riguarda questo aspetto, la Cassazione è in totale sintonia con il verdetto di merito e rileva che il divieto di trattare i dati vale anche in favore di "coloro che abbiano comunque prestato il loro consenso", dato che si tratta sempre di consenso scaturito da un utilizzo non consentito dei dai personali del cliente. Spiegano gli 'ermellini' che "la finalità della chiamata telefonica è, in effetti, pur sempre quella di effettuare proposte commerciali, a prescindere dal fatto che con la stessa telefonata si effettui o meno anche la vendita di beni o servizi (come possibile ed anche avvenuto in concreto, nulla impedendo al call-center di effettuare immediatamente un'offerta commerciale, senza bisogno di sollecitazioni da parte delle persone contattate)".
Se si ritenesse che contattare i clienti per il 'recupero del consenso' sia "ammesso", allora - avvertono i supremi giudici - "lo stesso sistema del cosiddetto opt-out sarebbe di fatto vanificato", e risulterebbe dunque inutile aver iscritto la propria utenza nel "registro pubblico delle opposizioni". I clienti che vogliono tornare sui loro passi e "mutare opinione rispetto al trattamento dei loro dati personali, revocando il dissenso già espresso", possono farlo, ma - sottolinea la Cassazione - solo "nell'ambito di iniziative che li vedano protagonisti". Ad esempio, come osservato dal Tribunale, "mediante contatto gratuito con il numero 119 o nel contesto di richieste di informazioni".
di Nicola Cundò (Fonte Il Sole 24 Ore)