Chiara Ferragni torna a impegnarsi nel sociale? occhio alla truffa che sfrutta immagine e voce della nota influencer
Dopo le grane passate con l’Antitrust per pubblicità ingannevole nelle note vicende del pandoro Balocco e delle uova di pasqua, su cui ha potuto finalmente mettere una pietra sopra con l’impegno a versare una donazione da 1,2 milioni di euro in accordo con la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, adesso Chiara Ferragni sembra intenzionata a tornare ad impegnarsi nel sociale, stavolta per permettere ai lavoratori italiani di andare in pensione anticipata a soli 45 anni.
È in prima persona l’influencer e imprenditrice digitale di Cremona che appare in un video spot su YouTube e un’intervista su Repubblica in cui spiega di avere “sempre voluto fare qualcosa per permettere alle persone di andare in pensione prima” affinché “potessero comprare farmaci e beni senza preoccuparsi dell’aumento dei prezzi e dei livelli pensionistici stagnanti“.
Troppo bello per essere vero, e con i conti del sistema pensionistico italiano che scricchiolano non potrebbe neanche realisticamente esserlo.
Si tratta infatti di un video e di un’intervista farlocchi che stanno circolando su internet e che in realtà sfruttano il nome e l’immagine di Chiara Ferragni per persuadere creduloni e persone vulnerabili a investire €250 in criptovalute per assicurarsi una “rendita sicura” di ben €7.000 al mese grazie ad un “progetto sostenuto dal governo, garantito dallo Stato e dalla Banca d’Italia” senza alcun rischio, di cui l’influencer è diventata promotrice a sua insaputa, e che suo malgrado viene solo danneggiata da questa attività fraudolenta.
Il video che viene mostrato all’utente su YouTube come spot pubblicitario introduttivo in attesa di accedere al filmato desiderato sulla piattaforma di condivisione di contenuti multimediali di Google è in questione un “deep fake” in cui si vede effettivamente la Ferragni che parla con il suo consueto timbro vocale, così da sembrare lei stessa ad annunciare le inverosimili novità pensionistiche, ma la sua voce è stata in realtà clonata da una tecnologia di intelligenza artificiale, e solo osservando con attenzione la sua bocca si può notare una sottile imperfezione nella sincronizzazione con il suo labiale.
Al termine del video fraudolento, lo spot invita poi ad approfondire l’argomento nell’intervista che l’influencer avrebbe rilasciato a Repubblica, e cliccando sul link fornito da YouTube si visualizza l’articolo con tanto di foto di Chiara Ferragni su un sito web clone che riproduce perfettamente la grafica del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, di cui ci si può accorgere che si tratta un fake (come si vede nell’immagine sopra) solo se si va a guardare l’url sulla barra degli indirizzi del browser, che non corrisponde al dominio internet di Repubblica.
(Sopra: un frame del video spot taroccato)
Dato che su internet dilagano ormai video e siti web ingannevoli come quest’ultimo che ha preso di mira la famosa imprenditrice digitale, la raccomandazione agli utenti è ovviamente quella di non prendere tutto per oro colato quando navigano in rete e di prestare la massima attenzione quando ci si imbatte in promesse allettanti studiate ad arte da individui senza scrupoli che susciterebbero l’interesse di chiunque, e specialmente se provengono da fonti considerate note e attendibili, soggetti vulnerabili come anziani, minori, o persone con disabilità mentali possono abboccare facilmente alle truffe che vi si nascondono dietro.
Il problema è che YouTube è una fonte nota che dovrebbe poter essere considerata anche attendibile, ma permettendo che inserzioni pubblicitarie palesemente ingannevoli e illegali vengano diffuse su larga scala senza blocchi preventivi in fase di richiesta di approvazione, la piattaforma contribuisce alla perdita di fiducia di milioni di cittadini che dovrebbero navigare online tranquilli, senza il timore che dietro ogni angolo del web ci sia una truffa in agguato.
Creare un ambiente digitale sicuro che possa guadagnare la fiducia degli utenti è da molti anni uno degli obiettivi che l’Unione Europea ha perseguito fin dall’introduzione del GDPR, e che di recente ha pure rafforzato con il Digital Services Act (DSA), ovvero il Regolamento europeo sui servizi digitali che dallo scorso febbraio è a tutti gli effetti in vigore come legge che deve essere rispettata da tutti i fornitori di cloud e di hosting, motori di ricerca, e-commerce e piattaforme online, alle quali vengono imposti precisi obblighi sulla trasparenza degli algoritmi delle pubblicità, sulla lotta alla disinformazione, e sulla protezione dei minori e più in generale di tutti i soggetti vulnerabili. Ma evidentemente per vedere gli effetti positivi dobbiamo ancora attendere.
(fonte Nòva Il So9le 24 Ore - di Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy)