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Una bambina è una bambina anche se si chiama Totti

Chantal Totti sarà anche la figlia di due personaggi pubblici il cui diritto alla privacy è affievolito – entro certi limiti peraltro – dal diritto di cronaca ma è prima di tutta una bambina, un’adolescente che come tale merita di essere trattata anche dai media. È per questo che la pubblicazione della foto del suo lato b sulla copertina di Gente accompagnata da un titolo che ne suggerisce la somiglianza con il lato b della mamma è odiosa, intollerabile, socialmente e culturalmente insostenibile e indifendibile.

Francesco Totti e la moglie Ilary Blasi

(Nella foto: Francesco Totti e la moglie Ilary Blasi)

Si è trattato di una chiara, palese, inequivoca forma di spettacolarizzazione – ma l’espressione giusta è sessualizzazione – del corpo di una adolescente all’unico e esclusivo fine di vendere qualche copia in più di un giornale perché, sembra piuttosto evidente, che non c’è alcuna notizia nella circostanza che il sedere di una ragazzina rassomigli a quello di una madre e continua a non esserci alcuna notizia anche se la madre è famosa e, per lavoro e/o per propria legittima scelta, matura e consapevole ha, talvolta, scoperto il suo lato b anche a favore di camere e telecamere.

La mamma, appunto, ha scelto, la figlia no e non c’è giornalista al mondo che possa scegliere al posto suo.

Ora quella foto, con quel titolo che in altri tempi si sarebbe definito osceno, apparterrà, per sempre, al web che se ne è già impossessato e minaccia di perseguitare l’esistenza di quella bambina per tutta la vita, quali che saranno le sue scelte future.

La discussione sulla liceità o illiceità della pubblicazione di quella foto è davvero poco appassionante.

Ovviamente quella foto non poteva e non doveva essere pubblicata non essendoci base giuridica alcuna per la pubblicazione su un giornale della foto di un minore – benché figlio di personaggi pubblici – in assenza, peraltro, di qualsivoglia fatto di cronaca, né per la verità di alcun gossip anche ammesso che il gossip meriti di essere considerato cronaca.

E, a ben vedere, la Carta di Treviso vieta – salvo eccezioni tra le quali ovviamente non vi è la scelta di suggerire la somiglianza del sedere di una figlia a quello della mamma – la pubblicazione delle foto di minori anche in presenza di fatti di cronaca.

Ma il punto, in casi come questo, non credo possa essere ridotto a cosa è lecito e cosa è illecito.

Il punto è o dovrebbe essere che, anche ammesso – e così non è – che la pubblicazione di quella foto fosse stata lecita, in ogni caso, etica, buon senso, rispetto per l’identità di un minore in una delle fasi più complesse della sua esistenza avrebbero dovuto sconsigliarne la pubblicazione.

Ovviamente sbagliamo tutti e può sbagliare anche la direttrice di un giornale.

L’importante è esser pronti a chieder scusa, sfuggire alla tentazione di difendere una scelta indifendibile, magari provare a riparare all’errore dedicando all’errore stesso, la prossima copertina e provando a spiegare o a far spiegare perché quella foto non avrebbe dovuto essere pubblicata.

Nella foto: Guido Scorza, componente dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali

(Nella foto: Guido Scorza, componente dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali)

Perché se noi adulti, a cominciare proprio dai giornalisti e da chi dirige un giornale come Gente che, per vocazione, parla alla gente comune lasciamo passare l’idea che è normale dare in pasto al mondo il sedere di una tredicenne accompagnato da apprezzamenti qualitativi, poi perdiamo il diritto di lamentarci della ormai sistematica sessualizzazione del corpo degli adolescenti che, drammaticamente, va in scena sui social network segnando, temo per sempre, lo sviluppo naturale non solo dei minori protagonisti dei video in questione ma anche dei milioni di altri minori che quei video guardano.

E, invece, contro questo fenomeno la società degli adulti dovrebbe marciare compatta imbracciando le armi della formazione, dell’informazione, dell’educazione e della cultura non per bigottismo ma, semplicemente, per scongiurare il rischio che chi non è ancora in grado di farlo come i più giovani si scelga uno stereotipo sbagliato come modello di riferimento, si crei un’identità che non le o gli appartiene solo perché la ritiene quella più apprezzata dai suoi follower e, magari, si ritrovi poi incolpevolmente a vivere una vita che non è la sua.

di Guido Scorza (L'Espresso)

Note sull'Autore

Guido Scorza Guido Scorza

Componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali. Twitter: @guidoscorza

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