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Il futuro del lavoro tra superintelligenza e singolarità

Gli studiosi di fisica utilizzano il termine singolarità gravitazionale per indicare il punto dello spazio-tempo in cui il campo gravitazionale ha un valore infinito (per es., i buchi neri). Nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale (IA) si chiama singolarità il punto nella linea temporale in cui una macchina diventa intelligente come le persone che l’hanno costruita, perciò capace di migliorarsi da sola.

Proprio quest’ultimo aspetto dell’automiglioramento è la più grande paura di chi è preoccupato dalla “singolarità”, il terrore che un’intelligenza ribelle porti alla distruzione dell’umanità.

Espressione di questa paura è forse, più di ogni altro, il noto film “2001 Odissea nello spazio” del regista Stanley Kubrick, scritto insieme al noto autore di fantascienza Arthur C. Clarke, dove si narra la storia della ribellione del supercomputer Hal 9000 (il nome è l’acronimo di Heuristic Algorithm: un algoritmo euristico, cioè che trova soluzioni).

Può un computer ribellarsi come Hal ? Oggi è ancora fantascienza. Ma il fenomeno della singolarità serve per far luce su due visioni contrapposte in tema di intelligenza artificiale: la visione “forte” e “debole” dell’IA. Chi crede in una visione “forte” sostiene che una macchina possa essere dotata di una mente, o che prima o poi lo sarà. Si tratta di una visione per la quale un giorno verrà costruito un sistema capace di eguagliare il cervello umano; chi crede in una IA debole afferma, invece, che una macchina possa solo simulare un’intelligenza reale e svolgere compiti specifici e limitati, come giocare a scacchi o tradurre.

L’IA forte, oggi, è pura teoria, mentre l’applicazione della IA in campi specifici apre la strada a nuove paure, ma anche a impensabili, fino ad alcuni anni fa, lavori e prospettive per il futuro.

Un rapporto del 2023 della banca di investimenti Goldman Sachs prevedeva che “circa due terzi delle occupazioni attuali saranno interessate in qualche misura dalla automazione delle AI, e che la AI generativa potrà svolgere circa un quarto del lavoro attuale. L’estrapolazione delle nostre stime a livello globale ci suggerisce che la AI generativa potrà esporre all’automazione l’equivalente di 300 milioni di lavori a tempo pieno.”

Storicamente il progresso tecnologico ha influito sui lavori svolti, così come dimostra un’analisi condotta dalla Information Technology & Innovation Foundation sui dati dei censimenti per quantificare il tasso di distruzione e creazione dei lavori per ogni decennio a partire dal 1850, la quale ha riscontrato che ben il 57% dei lavori svolti nel 1960 non esiste più.

Ovviamente, questo non significa che il futuro sia roseo per tutti i lavoratori. Sappiamo che l’intelligenza artificiale e, in particolare, le Gai sono imbattibili nello svolgere compiti specifici in ambienti stabili. Ciò significa che i lavori più a rischio in futuro sono proprio quelli che prevedono una serie ben definita di compiti specifici e il più delle volte ripetitivi.

Di contro non verranno automatizzati tutti quei lavori che necessitano di una interazione empatica o che richiedono la capacità di capire emotivamente un’altra persona (es. consulenti e advisor di ogni sorta). Lo stesso varrà per quei mestieri connotati da estro e creatività (musicisti, atleti, ecc.).

Avv. Marco Soffientini

(Nella foto: l'Avv. Marco Soffientini,è docente al Corso di alta formazione su Privacy e Gestione del Personale)

Le Gai faranno sorgere nuovi lavori: Oltre ai “software engineer” che si specializzeranno nello sviluppo di Gai specifiche, si pensi al “prompt engineering” consistente nella capacità di ottenere da una Gai l’output desiderato. Infatti, quando le nostre richieste non sono abbastanza specifiche, non otteniamo dalla Gai quello che vogliamo. Capita spesso di dover risolvere un problema complesso e articolato dove la Gai può confondersi ma, se addestrata o sollecitata in modo adeguato, riuscirà a superare l’ostacolo.

Si pensi ancora al “Data wrangler” (“allevatori di dati” così chiamati da parte della dottrina) e cioè a persone che si occuperanno della raccolta dei c.d. training data soprattutto per le applicazioni più specialistiche.

In futuro, cresceranno anche nuove attività consistenti nel testare e monitorare le Gai (con specifiche certificazioni). Sul tema sono in crescita molti benchmark tecnici per testare e confrontare le Gai e, probabilmente, la creazione dei test standardizzati diventerà una specifica professione.

Infine, cresceranno specifici lavori di controllo e monitoraggio dei rischi e minacce legati alle Gai, così come oggi avviene con le minacce cyber.

Tutto questo è affascinante, ma non dobbiamo dimenticare che serviranno competenze specifiche, e questo vale anche per chi aspira a diventare un professionista della privacy. La c.d. “disoccupazione strutturale o tecnologica” – ossia la discrepanza tra le esigenze del mercato del lavoro e le competenze della forza lavoro – potrà essere arginata e contenuta attraverso l’aggiornamento e la formazione professionale, nonché tramite programmi di studio, in ogni ordine e grado, capaci di fornire agli studenti competenze spendibili sul mercato del lavoro.

Il futuro è ancora nelle nostre mani in quanto siamo umani e la nostra intelligenza batte ancora quella degli algoritmi: “So di essere intelligente perché so di non sapere” (Socrate).

Note Autore

Marco Soffientini Marco Soffientini

Avvocato esperto di protezione dei dati personali, Data Protection Officer di Federprivacy. Autore Ipsoa, docente Unitelma Sapienza, Privacy Officer certificato TÜV Italia, Fellow Istituto Italiano Privacy.  - Twitter: @msoffientini1

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