Etica e responsabilità d’impresa in ambito sanitario: quando gli interessati sono in condizioni di fragilità
Immaginate un edificio bello e lussuoso con fiori e piante in bella vista in vendita. Se le fondamenta sono fragili e nei sotterranei c’è umidità non si vede. Eppure chi compra dovrebbe saperlo. Tale operazione di sola immagine è, spesso tutta l'impalcatura degli strumenti della Responsabilità Sociale d'Impresa perché la morale non è ritenuta necessaria; se ne parla tanto ma poi non vi si investono risorse orientate al miglioramento, allo sviluppo.
Quando però diventa chiaro il superamento del limite e si percepiscono la disuguaglianza, la violazione della dignità, quando “si scopre la muffa nei sotterranei o la fragilità delle fondamenta”, ecco che ritorna l’esigenza dell’etica.
E si iniziano a moltiplicare “correttivi” per lo più fallaci, come i codici etici o le carte dei valori, formalmente buoni ma troppo spesso pieni di parole vuote e contraddette dalla realtà. Questo perché le difficoltà morali delle organizzazioni, e quindi il bisogno di etica, non possono essere risolti sul piano delle certificazioni. Meno che mai ex post.
Il problema non sta negli strumenti; il brand, gli investimenti in ricerca e sviluppo, le conoscenze dei collaboratori, la fidelizzazione: lì sta il valore di lungo periodo di un'organizzazione. L’impresa vale per quanto ha investito nel nostro orientamento verso il futuro; gli asset intangibili sono il fondamento dell'etica di una organizzazione dove servono atti di responsabilità in cui fra dire, mostrare e fare ci dev’essere una corrispondenza precisa.
(Nella foto: Maria Teresa Iannone, Biogiurista Responsabile per la Bioetica clinica Ospedale Isola Tiberina)
Tutto ciò è ancor più vero nell’era del digitale, dove lo stesso portatore di interesse non riesce a valutare la portata della preziosità dei “dati” a lui riferiti, così come sarebbe in grado di fare nella valutazione di beni materiali. Eppure quel dato è espressione della sua stessa identità finora pensata solo in termini rapportabili alla corporeità. Ma se la biologia è storia attraverso ogni cellula che si struttura in più cellule in un continuo processo-struttura, l’identità è la stabilità nel tempo di questo processo. In questo fenomeno si pone l’”Io” di cui la coscienza è la massima espressione.
Nel mondo digitale l’identità è cambiata, decorporeizzata; ha trovato altri modi di essere concepita. Oggi la platea dei deboli a cui rivolgere tutela, inconsapevoli della propria esposizione, è aumentata.
L’analisi che va fatta è antropologica per riscoprire la relazionalità della Persona e non lasciare che il nuovo modello la riduca a mero organismo informazionale. Quale Uomo è quello al quale si rivolge e al cui servizio è il mondo digitale?
Il digitale si pone come una sfera della vita totalmente reale, per quanto immateriale sia, nella quale viviamo e avvengono continui scambi di informazioni nelle più disparate forme in cui si manifesta il nostro essere: una persona anche digitale.
L’ambito sanitario è il più delicato; gli interessati spesso sono pazienti e quindi in condizioni di fragilità. La tutela del diritto alla protezione dei dati delle persone che afferiscono alle varie attività sanitarie deve formare gli operatori verso una cultura del rispetto nei confronti della persona tanto nella sua identità fisica quanto in quella digitale affinché ogni contesto sanitario si esprima come luogo di accoglienza globale, promuovendo il valore etico che sottende alla disciplina europea la quale considera “la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale come un diritto fondamentale” e riporta il “trattamento dei dati personali al servizio dell’Uomo”.
Tutto ciò impone responsabilità dell’organizzazione e nell’organizzazione; le norme possono cambiare i riferimenti e gli ambiti, applicare nuovi princìpi ma non sostituire il fondamento delle capacità decisionali che risiede nella coscienza, la quale è chiamata a sentire la responsabilità per l’altro e a decidere i modi concreti con cui questa va esercitata.
Sappiamo di dover distinguere tra una responsabilità sociale "esterna” ed una "interna".
Nella responsabilità “esterna” non basta il rispetto dei contratti; è la dimensione valoriale delle proprie finalità (mission) a caratterizzare l’Impresa. Alla domanda/bisogno che ci viene posta, dobbiamo rispondere con appropriatezza determinando, nell’erogazione della prestazione, la dimensione professionale della risposta; ma sarà la dimensione valoriale a definire la base di senso da cui l’Impresa muove le sue scelte.
A questo si collega la responsabilità sociale "interna". Un’impresa socialmente responsabile pone a fondamento una visione a lungo termine che sottende un forte impegno a creare un ambiente etico valutandolo, misurandolo, verificandolo.