Emergenza Coronavirus, fin dove può spingersi il tracciamento degli smartphone?
La stagione dell’emergenza consente, anzi impone, giustificate e proporzionali limitazioni anche alle libertà fondamentali, come tutti gli italiani stanno sperimentando a proposito della libertà di circolazione. Ma questa è anche la stagione della paura. Quella che i contagi aumentino in modo esponenziale e quella conseguente relativa al mancato rispetto delle disposizioni adottate.
Come funziona il contact tracing - In questo scenario, laddove non può l’autocertificazione potrà la tecnologia?
Non sembra una domanda retorica leggendo quanto dichiarato dal vicepresidente della Regione Lombardia: «Con l’aiuto delle compagnie telefoniche, abbiamo potuto verificare gli spostamenti dei lombardi, in questi giorni di emergenza coronavirus». È stato assicurato che si tratti di dati aggregati e totalmente anonimi utili a fini statistici.
Innanzitutto, speriamo davvero che sia così. La linea tra anomizzazione e de-anonimizzazione è sempre più sottile nell’attuale contesto tecnologico.
In secondo luogo, tale dibattito si inserisce in quello più ampio relativo alla possibilità di utilizzare un’applicazione mobile su smarthphone per il tracciamento degli spostamenti per monitorare e ricostruire la diffusione del virus, il “contact tracing”. Una tale tecnologia può permette infatti di monitorare e intrecciare tramite sistemi di Big Data analytics diverse informazioni attinenti alla vita quotidiana e personale degli utenti con il supporto di operatori quali telco o istituti finanziari. Il risultato è una mappa precisa del virus e dei suoi vettori sul territorio che prescinde dal numero di infetti in un determinato comune o altri dati di natura non capillare.
Come funziona all’estero - Questa soluzione non costituisce una trovata italiana, tutt’altro. Paesi come Cina, Taiwan e Corea del Sud hanno già implementato tali sistemi per mappare e contenere la diffusione del virus con risultati estremamente positivi in termini di nuovi contagi nonostante la vicinanza al focolaio originale del virus. Visti gli esiti, non è un caso che diversi Paesi nel mondo, tra cui l’Italia, stiano prendendo in considerazione le tecnologie di intelligenza artificiale quale soluzione alla situazione allarmante, come testimoniato dalla proposta di Alessandro Morelli, deputato della Lega e presidente della Commissione Trasporti e Tlc della Camera.
La proposta italiana - L’obiettivo principale di tale proposta è chiaro: contrastare la diffusione dei contagi per salvaguardare la salute dei cittadini. Quello che è meno chiarò è capire se le restrizioni alla privacy saranno adeguate e proporzionali, tenendo conto, e non sembra un dettaglio, che la nostra Costituzione sancisce all’art. 15 il principio di segretezza di ogni forma di comunicazione.
C’è chi osserva che il ricorrere al fattore tecnologico non sarebbe un problema di costituzionalità visto che anche il diritto europeo riconosce ampi margini per limitare le libertà personali in casi di situazioni estreme come previsto dall’art. 23 del regolamento sulla protezione dei dati personali. Altri riferimenti possono essere ricavati dal considerando 16 che esclude inoltre dall’ambito di applicazione del regolamento le attività riguardanti la sicurezza nazionale nonché alle eccezioni previste dagli artt. 6 e 9 che lasciano agli Stati membri margini di discrezionalità per motivi legati a misure nazionali eccezionali. In questo contesto, anche l’art. 15 della direttiva e-privacy potrebbe contribuire a fornire maggiore spazio di manovra in situazioni di emergenza nazionale nei limiti di «misura necessaria, opportuna e proporzionata all’interno di una società democratica».
Che cosa dice il Codice Privacy - L’art. 126 del Codice privacy italiano prevede che i dati relativi all’ubicazione diversi dai dati relativi al traffico, riferiti agli utenti o ai contraenti di reti pubbliche di comunicazione o di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, possono essere trattati solo se anonimi o se l’utente o il contraente ha manifestato previamente il proprio consenso, revocabile in ogni momento, e nella misura e per la durata necessari per la fornitura del servizio a valore aggiunto richiesto. Sul punto non è mancato di intervenire l’European Data Protection Board ricordando come le autorità pubbliche dovrebbero in primo luogo mirare al trattamento dei dati relativi all’ubicazione in modo anonimo.
Una pandemia globale sembrerebbe dunque proprio una situazione di estrema gravità atta a giustificare limitazioni del diritto alla privacy. E in questa direzione remerebbe anche l’art 14 del decreto legge n. 14 appena adottato che prevede la possibilità, proprio in ragione dell’emergenza sanitaria, di comunicazioni a soggetti diversi rispetto a quelli identificati dal regolamento. Vero, ma non basta. Tale norma non consente assolutamente un’autorizzazione illimitata al tracciamento prima ipotizzato in assenza di una specifica base giuridica, al momento mancante e che, se presente, sarebbe probabilmente in contrasto con i principi europei e costituzionali se non fosse ispirata a restrizioni e vincoli al di fuori dei principi di proporzionalità, necessità e accessorietà al carattere dell’emergenza.
In altre parole, una volta che è chiaro che ad oggi la normativa vigente, seppure emergenziale, non autorizza un tracciamento come quello ipotizzato, serve una nuova base giuridica sul punto o si può invece fare affidamento a una cornice già esistente di salvaguardie e garanzie in materia di dati personali fornite dal Regolamento? Per rispondere a questa domanda vale la pena richiamare quanto sottolineato da Antonello Soro, Garante per la Protezione dei dati personali, secondo cui l’emergenza non giustifica restrizioni e vincoli al di fuori dei principi di proporzionalità e necessità.
Le regole europee - Non ci si faccia prendere, sull’ondata emotiva e reattiva, dall’ansia di adottare nuove normative emergenziali abilitanti, si rischia di concentrarsi sul dito e di perdere di vista la luna, ovvero il quadro europeo di riferimento che, come tutto il diritto dell’Unione, lo si ricorda, prevale in caso di contrasto sul diritto interno
Proprio la Corte di giustizia dell’Unione europea ci ha fornito in questi anni importanti insegnamenti sul punto nella sua giurisprudenza: il perseguimento di fini pubblicistici, non può giustificare l’assenza di garanzie sostanziali e procedurali atte a bilanciare l’esercizio di un legittimo interesse con un diritto fondamentale quale il diritto alla privacy che subirebbe altrimenti una limitazione sproporzionata e non necessaria. Ancor più rilevante ricordare le radici europee e l’orizzonte europeo della nostra tradizione costituzionale in cui la protezione della privacy è un diritto fondamentale, che può essere sicuramente limitato ed anche incisivamente, per tutelare un valore costituzionale altrettanto fondamentale, come quello della salute pubblica.
Limitato sì, calpestato no, perché cosi facendo si calpesterebbero anche le nostre radici europee. E una volta calpestate, a emergenza finita, sarebbe assai difficile ritrovare quelle impronte che consentono di non sbagliare direzione al bivio e non imboccare quel percorso che si allontana dal nostro attuale modello di democrazia liberale.
Fonte: Il Sole 24 Ore, a cura di Oreste Pollicino e Giovanni De Gregorio