App per "sole ragazze": se sei donna non lo può decidere l’intelligenza artificiale
Si chiama Giggle, l’app tutta al femminile che promette di mettere in collegamento, in maniera sicura, donne con donne che condividano gli stessi interessi, che vogliano fare lo stesso viaggio o semplicemente condividere, al riparo da rischi al maschile, un passaggio per il lavoro. Buona l’intenzione, utile l’idea, indovinata la campagna di marketing. C’è, però, un “ma”.
Per iscriversi all’app non basta dichiarare di essere donna né caricare una foto o rispondere a questa o quella domanda ma bisogna farsi un selfie, sottoporsi a uno screening biometrico che, esaminata la struttura ossea decide, grazie a una soluzione di intelligenza artificiale, se chi sta davanti allo smartphone è per davvero una donna.
Un’idea, val la pena dirlo senza tanti giri di parole, semplicemente sciocca senza bisogno, in questo caso, che ad attestarlo sia una soluzione di intelligenza artificiale e che, infatti, inizia a sollevare polemiche in giro per il web.
I primi altolà sono stati, ovviamente, sollevati dalle persone transessuali che l’intelligenza artificiale che guida la selezione all’ingresso dell’app bolla inesorabilmente come uomini quale che sia l'identità di genere e persino l'aspetto fisico.
Ma non si tratta dell’unico caso nel quale il verdetto dell’app può risultare ingiusto giacché si può esser donna, per ragioni diverse – dovute all’etnia, a problemi di salute, a incidenti, interventi chirurgici ricostruttivi e dozzine di motivi diversi – anche senza rientrare nei parametri “medi” che l’intelligenza artificiale in questione identifica come determinanti ai fini della selezione.
E, tecnicismi a parte, diciamocelo francamente: che debba esser uno smartphone a giudicare se una persona è una donna e ha diritto a entrare in club per sole donne o deve restarne esclusa è sciocco, inutile e, soprattutto, discriminatorio specie se, come è inevitabile, l’intelligenza – si fa per dire – artificiale che lo guida non è infallibile.
C’era una volta un mago di uno specchio magico che diceva chi era la più bella del reame, ma era in una fiaba per bambini e, peraltro, non mentiva.
E, a prescindere da ogni altra considerazione, la vera domanda da porsi è la stessa che avremmo dovuto porci prima di iniziare a usare Faceapp – l’app che riflette nello schermo magico dello smartphone il nostro volto tra trent’anni – o decine di altre analoghe app basate sul trattamento di dati biometrici: vale davvero la pena di lasciarci espropriare di dati personali unici e straordinariamente preziosi per usare un’app di questo genere?
La domanda è retorica e la risposta negativa dovrebbe essere scontata.
Centinaia di milioni di persone, tuttavia, continuano a rispondere in maniera affermativa perché lo sviluppo tecnologico corre più veloce della trasformazione culturale della società e facciamo fatica a comprendere il valore della nostra identità personale e delle sue proiezioni digitali e a capire che cedutane a terzi la disponibilità, chiunque, nei secoli, potrà essere noi stessi ovunque nel mondo.
Guido Scorza - Fonte: Mashable