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Apple, una mancia da 95 milioni di dollari per mettere a tacere le accuse di violazione della privacy

Accusata di violare la privacy tramite l'assistente vocale Siri, che avrebbe registrato sistematicamente le conversazioni private degli utenti, Apple ha deciso di chiudere una class action avviata negli Stati Uniti accettando di pagare la bellezza di 95 milioni di dollari.

 

(Nella foto: Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy)

Secondo quanto sostenuto dai consumatori che nel 2021 avevano intentato l’azione legale contro l’azienda fondata da Steve Jobs presso la Corte distrettuale settentrionale della California, i possessori di iPhone e Apple Watch sarebbero stati spiati e registrati a causa delle ripetute attivazioni “accidentali” dell'assistente vocale, che in genere dovrebbe rispondere solo a comandi diretti dell’utente come il classico "Ehi, Siri…", e già nel 2019 in un’inchiesta del The Guardian alcuni addetti dell’assistenza tecnica dell’assistente vocale avevano ammesso che spesso capitava loro di ascoltare le registrazioni dei dialoghi, che a volte riguardavano consultazioni tra medici e pazienti su problemi di salute, o argomenti confidenziali su rapporti sessuali e uso di droghe.

All’epoca Apple aveva minimizzato la questione affermando che le conversazioni realmente ascoltate a seguito di attivazioni volontarie e involontarie di Siri erano inferiori all’1%, precisando che tutto ciò che veniva analizzato non veniva comunque associato ad alcun ID identificativo proprio per proteggere la privacy dell’utente.

Sta di fatto però che nelle accuse mosse successivamente nella class action, i consumatori sostengono di aver ricevuto annunci promozionali di prodotti e servizi inerenti conversazioni da loro intrattenute poco prima, desumendo che oltre ad essere ascoltati e registrati dall’assistente vocale, sarebbero stati anche profilati in base alle loro necessità e preferenze di acquisto da parte di Apple, che avrebbe pertanto condiviso quelle informazioni anche con agenzie di marketing pronte a inondare gli utenti di pubblicità.

Ad ogni modo, anche se a tutt’oggi il gigante tecnologico californiano, continua a disconoscere ogni responsabilità e sostiene di avere sempre agito nel rispetto delle normative sulla privacy, ora vuole metterci una pietra sopra, e il 3 gennaio ha depositato un accordo preliminare presso la corte federale di Oakland (Caso Lopez N. 4:19-cv-04577-JSW) che aspetta solo il semaforo verde dal giudice distrettuale Jeffrey White.

Anche se la cifra di 95 milioni di dollari che l’azienda americana sborserà per mettere a tacere le accuse di violazione della privacy potrebbe sembrare mastodontica, è però opportuno fare le debite proporzioni: per quanto riguarda l’impatto sul proprio bilancio, come evidenzia la Reuters l’importo equivale a circa nove ore di profitto per Apple, il cui utile netto nel suo ultimo anno fiscale è stato di 93,74 miliardi di dollari, mentre sul versante dei consumatori, in base alle decine di milioni di utenti coinvolti nella class action, si stima che ciascuno di essi potrà ricevere fino a 20 dollari, quindi giusto una mancia elargita da parte di Apple per il disturbo arrecato.

A uscirne invece soddisfatti, a quanto pare saranno gli avvocati dei querelanti, che potrebbero staccare una parcella da 28,5 milioni di dollari, oltre a 1,1 milioni di euro per le spese legali che attingeranno dal fondo del risarcimento milionario.

di Nicola Bernardi, Presidente di Federprivacy (La Ragione dell'8 gennaio 2025)

Note sull'Autore

Nicola Bernardi Nicola Bernardi

Presidente di Federprivacy. Consulente del Lavoro. Consulente in materia di protezione dati personali e Privacy Officer certificato TÜV Italia, Of Counsel Ict Legal Consulting, Lead Auditor ISO/IEC 27001:2013 per i Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni. Twitter: @Nicola_Bernardi

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