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Diritto di difesa batte privacy. Il lavoratore può registrare di nascosto le conversazioni con i colleghi per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda: non serve il consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati - come l'audio “rubato” all'ignaro interlocutore - serve a precostituirsi un mezzo di prova, magari contro il datore. Ad esempio per il dipendente che vuole dimostrare la natura ritorsiva del licenziamento adottato dalla società. A patto, tuttavia, che l'utilizzo del file non vada oltre le finalità della tesi difensiva e, dunque, le necessità del legittimo esercizio di un diritto. È quanto emerge dalla sentenza 28398/22, pubblicata il 29 settembre dalla sezione lavoro della Cassazione.

Gli obblighi di riservatezza che gravano sui lavoratori ai sensi dell’articolo 2105 del Codice civile, nonché secondo i principi generali di buona fede e correttezza, assumono rilevanza anche con riferimento al diritto dei colleghi alla riservatezza all’interno del posto di lavoro, la cui tutela è demandata al datore di lavoro. Su questo punto, la giurisprudenza è stata spesso chiamata a pronunciarsi sulla legittimità o meno della condotta dei dipendenti che, per difendersi in giudizio, registrino occultamente le conversazioni intercorse con o tra colleghi senza aver prima chiesto il loro consenso.

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Le procedure che trattano del tema delle risorse umane hanno un notevole impatto in termini di protezione dei dati personali; tra i vari processi da considerare vi è la cessazione del rapporto di lavoro, che implica una serie di adempimenti.

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Lunedì, 05 Agosto 2024 12:21

ChatGpt e Gdpr: una convivenza difficile

In linea il rapporto commissionato ad aprile 2023 all’ European Data Protection Board (Comitato europeo per la protezione dei dati, EDPB) per sondare eventuali interazioni e profili di compatibilità tra il Gdpr, il regolamento Ue sulla protezione dei dati personali (General Data Protection Regulation) e uno dei principali linguaggi di intelligenza artificale Llm disponibili, il ChatGPT.

Il processo di selezione del personale comporta necessariamente un trattamento dei dati personali, e il colloquio di selezione è una delle attività che richiedono il rispetto del GDPR.

I metadati delle email aziendali sono uno strumento di lavoro e non si può perciò imporre al datore di lavoro di scegliere tra cancellarli dopo 7 giorni oppure, se vuole tenerli per più tempo, di fare una trattativa sindacale o di farsi autorizzare dall'ispettorato del lavoro. È questa la posizione di Confindustria, Ania, Abi e Confcommercio, che hanno inviato al Garante della privacy una nota congiunta.

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Armonizzare le fasce di reperibilità tra pubblico e privato e mantenere alta l'attenzione sul tema della privacy dei dipendenti malati. Queste alcune delle valutazioni del Consiglio di Stato, che ha espresso il suo parere in merito allo schema di decreto ministeriale recante le modalità per lo svolgimento delle visite fiscali, in attuazione del "polo unico delle visite fiscali" introdotto dalla riforma Madia (artt. 18 e 22 del dlgs 75/2017). 

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L’uso dei dati biometrici come strumenti di accesso all’azienda non richiede un accordo sindacale ma richiede una valutazione di impatto privacy. Il monitoraggio dei costi dei telefoni aziendali richiede sia l’accordo, sia la valutazione di impatto. Sono solo due delle situazioni pratiche nelle quali può trovarsi il datore di lavoro: l’uso di strumenti informatici che possano comportare un controllo a distanza dell’attività lavorativa deve rispettare i paletti dettati dallo Statuto dei lavoratori (come modificato nel 2015) e dal Regolamento Ue sulla privacy, in vigore dal 25 maggio scorso.

La titolarità e la responsabilità del trattamento dei dati acquisiti attraverso sistemi di controllo da remoto fanno capo esclusivamente al datore di lavoro. L’Ispettorato del lavoro non può quindi rilasciare il provvedimento autorizzativo, disciplinato dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, nelle ipotesi in cui il titolare dei dati acquisiti (immagini o tracciamenti) non coincida con il datore istante.

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Se si dovessero riassumere ad un non addetto ai lavori i criteri con e per i quali i controlli difensivi possano essere lecitamente disposti, si potrebbe concentrare l'attenzione sulla pronuncia della Grande Camera della Corte di Strasburgo (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in breve CEDU) del 17 ottobre 2019, per la chiarezza della sintesi che essa consente sull'argomento (a dire il vero, in generale non di agevole inquadramento).

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Il presidente di Federprivacy intervistato su Rai 4

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