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Un trentasettenne milanese è stato assolto dalla Corte di Cassazione dall'accusa di aver fotografato e filmato la vicina di casa che usciva nuda dalla doccia della sua abitazione senza preoccuparsi della finestra del bagno priva di tende. La notizia ha destato non poco scalpore nell'opinione pubblica, perché sembrerebbe che tale verdetto abbia sancito definitivamente l'addio alle speranze di vedere tutelata la nostra privacy almeno tra le mura domestiche.

In una testata online espressioni giornalistiche e immagini (quali una foto segnaletica) riportate in difetto dei presupposti della verità e della continenza, nonché della pertinenza della notizia all’interesse pubblico, integrano la diffamazione a mezzo stampa e la conseguente responsabilità del giornalista.

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Gli Stati sono tenuti a garantire la tutela dei dati personali, anche se raccolti da aziende private, e sono responsabili della violazione del diritto al rispetto della vita privata nei casi in cui non intervengano per impedire la raccolta e l’uso illegittimo dei dati, inclusi i casi in cui un cittadino continui a ricevere bollette per un servizio di cui non è utente.

Google paga i danni morali per la mancata rimozione delle url - relative ad una notizia oggetto di una condanna per diffamazione - comprese quelle riferibili ai siti gestiti da altri motori di ricerca. E questo perché Google come internet service provider, mette a disposizione degli utenti i riferimenti necessari per identificarli. La Cassazione (sentenza 18430/2022) respinge il ricorso di Google Llc, contro la condanna a pagare 25 mila euro di danni morali a causa della sofferenza patita da un utente.

Google pagherà 9,5 milioni di dollari per risolvere le accuse di aver ingannato e manipolato i consumatori per ottenere l'accesso ai dati sulla loro posizione, rendendo quasi impossibile per gli utenti impedire il monitoraggio della loro posizione.

Google ha accettato di risolvere una causa sulla privacy dei consumatori del valore di almeno 5 miliardi di dollari di danni per l'accusa di aver tracciato i dati degli utenti che pensavano di navigare in incognito.

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Era stato accusato di aver ingannato gli utenti sulla privacy inducendoli a pensare erroneamente che per disattivare il rilevamento della loro posizione bastasse disattivare la funzione nelle impostazioni del proprio account, quando invece Google continuava a geolocalizzarli raccogliendo questo tipo di informazioni. E adesso il colosso tecnologico della Silicon Valley dovrà pagare un maxi risarcimento di 392 milioni di dollari.

Classe action contro Google da almeno 5 miliardi di dollari. L’accusa rivolta al colosso del web è quella di tenere traccia dell’attività internet degli utenti anche mentre utilizzano la modalità di navigazione in incognito, operando quindi in modo ingannevole nei confronti di milioni di utenti del suo browser Chrome, e violando così la loro privacy.

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La Suprema Corte di Cassazione interviene, con una ordinanza della fine di agosto del 2020, sul risarcimento per violazione del trattamento dei dati personali, ribadendo il principio in base al quale il danno da privacy non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”.

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Il risarcimento del danno alla privacy non deve lievitare per il solo fatto che a ledere la privacy sia un professionista tenuto a rispettare le norme sull'obbligo di segreto professionale sui dati dei clienti (come un commercialista). È quanto affermato dalla terza sezione della Corte di giustizia dell'Unione Europea (Cgue) con la sentenza del 20/6/2024 resa nella causa n. C-590/22.

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Siamo tutti spiati? il presidente di Federprivacy a Cremona 1 Tv

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