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Guido Scorza

Componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali. Twitter: @guidoscorza

Mercoledì, 28 Aprile 2021 06:42

Ora le spie corrono su Linkedin

Bye bye Mata Hari, affascinante e inarrestabile 007 d’altri tempi. Oggi segreti e informazioni confidenziali degli altri si cercano su Linkedin. O, almeno, questo è l’allarme lanciato dal MI5, il servizio segreto britannico. La notizia rimbalza dalla BBC che riferisce di un rapporto dei servizi segreti di Sua Maestà, appunto, secondo i quali, negli ultimi cinque anni almeno dieci mila cittadini inglesi sarebbero stati bersaglio di operazioni di intelligence promosse da Governi stranieri nel tentativo di accaparrarsi segreti di Stato e informazioni confidenziali. E, tutto, sarebbe avvenuto online.

Ieri il podcast di Governare il Futuro non è uscito perché l’altro ieri sono diventato papà. Mentirei se dicessi che nelle ultime ore non sono stato tentato di condividere via social la prima foto di mia figlia, il suo primo bagnetto, la sua prima poppata, la sua prima vera dormita tra le braccia della mamma. Ho scattato decine di foto, naturalmente, e decine di volte sono stato a un tap di distanza dal condividerla via social. A tentarmi, ogni volta, la felicità, l’entusiasmo, l’orgoglio di papà e soprattutto il fatto che quella social è, ormai – giusto o sbagliato, bello o brutto che sia – la dimensione naturale della nostra vita, specie in tempo di pandemia. Ma, almeno sin qui, ho sempre scelto di non pubblicare quelle foto e di limitarmi a inviarle a amici e parenti che il Covid tiene lontano dall’ospedale.

L’Europa avrà un digital green pass o, almeno, questa è la proposta della Commissione europea presentata lo scorso 17 marzo. Non sarà un passaporto vaccinale ma un certificato digitale che servirà a provare indifferentemente che un cittadino si è vaccinato, che un cittadino è risultato negativo a un test o che un cittadino, guarendo dal Covid, ha sviluppato i necessari anticorpi.

I dati raccolti da TraceTogether, l’app di contact tracing utilizzata dal Governo di Singapore per combattere il Covid-19 sono accessibili alla polizia per le sue indagini. Guai a considerare la notizia che rimbalza da Singapore come una vicenda che viene da lontano e che non ci interessa perché, nella realtà, ci riguarda tutti ed è carica di lezioni che non possiamo e non dobbiamo farci scivolare addosso. Ci provo in una manciata di righe anche se ne servirebbero tante di più.

Nei giorni scorsi la Corte Suprema del Massachusetts, negli Stati Uniti, ha messo nero su bianco un principio tanto semplice quanto dirompente: Uber non può opporre ai propri utenti le obbligazioni presenti nelle proprie condizioni generali di contratto semplicemente perché ha dato loro la possibilità di accedervi attraverso un apposito link nell’ambito del processo di registrazione ai propri servizi.

Mezz’ora non basta per leggere l’informativa sulla privacy di Facebook o quella di Google. Sono settemila parole – una più, una meno – per ciascuna. Un fiume di inchiostro digitale che dovrebbe rispondere alla funzione essenziale di dirci chi farà cosa con i nostri dati personali e, quindi, porci nella condizione di prestare in maniera consapevole il nostro consenso a questo o quel trattamento, che si tratti di marketing, di profilazione commerciale o di condividere questa o quella informazione necessaria a rendere i servizi forniti sempre più rispondenti alle nostre esigenze e desideri.

I dati che rimbalzano da uno studio di Sensity sono allarmanti. Oltre 1000 deep fake caricati ogni mese sui più grandi siti internet porno del pianeta, pagine con visualizzazioni da record. Tanto per intenderci stiamo parlando di siti internet che, in termini di visitatori, nella classifica dei siti più frequentati al mondo sono secondi solo a Google, YouTube, Facebook, Twitter e Instagram. In alcuni casi hanno più visite di Wikipedia, Yahoo o Amazon.

Chantal Totti sarà anche la figlia di due personaggi pubblici il cui diritto alla privacy è affievolito – entro certi limiti peraltro – dal diritto di cronaca ma è prima di tutta una bambina, un’adolescente che come tale merita di essere trattata anche dai media. È per questo che la pubblicazione della foto del suo lato b sulla copertina di Gente accompagnata da un titolo che ne suggerisce la somiglianza con il lato b della mamma è odiosa, intollerabile, socialmente e culturalmente insostenibile e indifendibile.

Le discussioni di queste settimane, in italia, in Europa e, per fortuna, anche fuori dai confini del vecchio continente a proposito dell’esigenza di identificare la migliore possibile soluzione di compromesso tra l’utilizzo della tecnologia nella guerra alla pandemia e il rispetto della privacy dei cittadini ci hanno, probabilmente, consegnato l’illusione di un mondo nel quale i diritti fondamentali stanno recuperando il ruolo che meritano nella società.

Lascia a dir poco interdetti l’annuncio, rimbalzato negli ultimo giorni dal quartier generale della Porsche, secondo il quale gli acquirenti dell’ultimo modello della celebre 911 potranno richiedere alla casa automobilistica di stampare, in alta definizione, la gigantografia, in alta definizione, della propria impronta digitale sul cofano della macchina.

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Il presidente di Federprivacy intervistato su Rai 4

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