In base alla normativa vigente la risposta può ben darsi negativa, ad avviso di chi scrive.
Sempre che l'adempimento non possa essere richiesto in forza di una norma di contratto (collettivo) o – come meno probabile – di una disposizione di legge, quale titolo può vantarsi a fondamento della pretesa?
Dal punto di vista della normativa di protezione dei dati personali, per il relativo trattamento il datore di lavoro potrebbe valutare la ipotetica ricorrenza di una delle due basi giuridiche, il legittimo interesse e il consenso. Entrambe, come è noto, non disgiunte da condizioni/criticità.
Il ricorso al legittimo interesse pre-suppone il superamento (tutt'altro che scontato, evidentemente) del famoso test del bilanciamento che deve avere ben regolato i 'conti' tra diritti/interessi contrapposti.
Quanto al consenso, gli è necessaria una comprovata idonea 'cornice' in cui il medesimo possa maturare nella genuina declinazione disegnata dalle disposizioni, considerando altresì la incondizionata libertà e revocabilità del “sì”.
Stesso ragionamento anche per i tesserini di riconoscimento corredati di foto, che non possono essere invocati come precedente per ulteriori analoghi trattamenti.
Tenendo presente la loro emanazione in costanza del vecchio Codice e della c.d. 'Direttiva madre', valga il riferimento al contenuto delle Linee Guida del Garante sul trattamento di dati personali dei lavoratori privati del 23 novembre 2006, segnatamente al par. 54.