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Un tormento durato mesi, quello subito da una donna perseguitata da un collega di lavoro, che non accettando il rifiuto delle sue avances aveva continuato a covare risentimento ponendo in essere una vera e propria attività di spionaggio e persecuzione, con molestie, minacce e ingiurie tramite telefono, sms, e social network, arrivando perfino a violare il suo profilo Facebook. Con la sentenza della Quinta Sezione Penale della Cassazione 47049/2019, per l'uomo è stata confermata la condanna per il reato di stalking ai sensi dell'art. 612 bis del Codice Penale con una pena di due anni e sei mesi di reclusione.

Poker di rischi per il lavoratore che scippa dati aziendali. C'è il rischio civilistico, quello disciplinare, quello penalistico e quello per violazione della privacy. Proprio quest'ultimo fronte (violazione della privacy) mette anche il datore di lavoro con le spalle al muro, potendosi contestare ai suoi danni una condotta di data breach (violazione dei dati personali). Con il risultato, per il datore di lavoro, di essere, nel contempo, vittima e reo: vittima del dipendente infedele e reo per non aver saputo arginare una violazione della riservatezza. Ma vediamo, dunque, di tratteggiare il quadro delle responsabilità connesse alla indebita fuoruscita di dati dal perimetro aziendale.

A volte basta la deplorevole condotta di un singolo scellerato per macchiare l’onore e la reputazione degli oltre 100mila carabinieri che prestano fedelmente servizio nell’Arma dei Carabinieri. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, la Procura di Milano ha infatti chiesto il rinvio a giudizio di un carabiniere accusato di aver rubato e rivenduto dati delle forze dell’ordine.

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Camera dei Deputati: Artificial intelligence e sostenibilità

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