Dipendente licenziabile se consegna atti riservati all'ex direttore imputato penalmente
Legittimo il licenziamento per giusta causa della dipendente di banca quando consegna - con modalità del tutto clandestine - documentazione riservata all'ex direttore implicato in procedimenti penali. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza 26023/19.
La vicenda - I Supremi giudici hanno richiamato un passaggio dei giudici di seconde cure che avevano ritenuto accertati i fatti sulla base delle dichiarazioni rese dalla dipendente in sede di audizione disciplinare e della loro sostanziale valenza confessoria, «insita nella inverosimiglianza medesima delle successive giustificazioni a sostegno sia della inconsapevolezza del carattere riservato della documentazione, in considerazione delle modalità clandestine della consegna del plico, sia della mancata consegna di essa, che sarebbe stata sostituita con fogli in bianco». A fronte di questi comportamenti la Corte aveva ritenuto del tutto irrilevanti le intercettazioni telefoniche, da cui aveva preso avvio la contestazione.
La Corte aveva ritenuto, inoltre, particolarmente grave la condotta contestata e adeguata la sanzione espulsiva, alla stregua degli obblighi di fedeltà e riservatezza imposti in linea generale a tutti i dipendenti di un'azienda di credito nonché dell'avvenuto scioglimento nel 2012, degli organi amministrativi e di controllo della banca e della sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria per gravi irregolarità, anche riconducibili all'ex direttore. La dipendente aveva contestato l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, ma la Cassazione ha evidenziato come ci fossero comportamenti così gravi da giustificare la rescissione del rapporto lavorativo e che le intercettazioni e il loro contenuto potessero anche messi da parte.
La buona fede e diligenza - I Supremi giudici riprendono l'articolo 2105 del Ccsecondo cui dall'obbligo di fedeltà e dai principi di correttezza e di buona fede ex articoli 1175e 1375 del Ccderiva che il lavoratore deve astenersi non solo da comportamenti espressamente vietati dal richiamato articolo 2105, ma anche astenersi da qualsiasi altra condotta che, per natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto. Respinto il ricorso della dipendente e confermata la legittimità del licenziamento.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 16 ottobre 2019