Diffamazione su Facebook, Corte Ue in panne
Facebook potrebbe essere costretta a individuare tutte le informazioni «identiche» a un commento diffamatorio di cui sia stata accertata l’illiceità, e anche «equivalenti» se provenienti dallo stesso utente, e a rimuoverle. Lo afferma l’avvocato generale Maciej Szpunar nelle conclusioni presentate alla causa C-18/18. Il condizionale è d’obbligo, dato che il diritto dell’Unione non disciplina la questione.
La vicenda prende le mosse da un commento diffamatorio ai danni di una deputata alla Camera dei rappresentanti del Parlamento austriaco. Il commento era stato fatto in seguito alla pubblicazione di un articolo di una rivista austriaca online.
La deputata (dopo un’inutile richiesta diretta a Facebook) aveva chiesto ai giudici austriaci di emettere un’ordinanza cautelare nei confronti di Facebook per bloccare la pubblicazione del commento, consultabile da qualsiasi utente di Facebook. Comunque, dopo che il giudice di primo grado aveva emesso l’ordinanza richiesta, Facebook aveva disabilitato in Austria l’accesso al commento.
Ma la richiesta della deputata all’Oberster Gerichtshof (la Corte Suprema), mirava alla rimozione del commento a livello mondiale. L’Oberster Gerichtshof aveva quindi chiesto alla Corte di giustizia di interpretare in tale contesto la direttiva 2000/31.
Nel concreto, però, l’avvocato generale ritiene solo che la direttiva sul commercio elettronico «non osti» (cosa ben diversa da un obbligo) a che un host provider che gestisce una piattaforma di social network, come Facebook, sia costretto, con provvedimento ingiuntivo, a cercare e a individuare, tra tutte le informazioni diffuse dagli utenti di tale piattaforma, quelle identiche a quella qualificata come illecita dal giudice. La direttiva, infatti, non disciplina la portata territoriale di un obbligo di rimozione.
La deputata avrebbe dovuto piuttosto far valere non il diritto dell’Unione ma le disposizioni generali del diritto civile austriaco in materia di violazione della vita privata e dei diritti della personalità.
Quindi, ha concluso Szpunar, «Per quanto riguarda la portata territoriale di un obbligo di rimozione imposto a un host provider nell’ambito di un’ingiunzione, si deve ritenere che quest’ultima non sia disciplinata né dall’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 né da nessun altra disposizione di siffatta direttiva e, pertanto, che (..) non osti a che un host provider sia costretto a rimuovere informazioni diffuse a mezzo di una piattaforma di rete sociale a livello mondiale. Inoltre, detta portata territoriale non è neanche disciplinata dal diritto dell’Unione, nella misura in cui, nella specie, il ricorso della ricorrente non è fondato sul medesimo».
Fonte: Il Sole 24 Ore