Se usate un’app per il monitoraggio del ciclo mestruale e siete in dolce attesa Facebook potrebbe saperlo prima del vostro partner
Se state usando un’app per il monitoraggio del ciclo mestruale e della gravidanza, Facebook (e in certi casi anche le forze dell’ordine) potrebbero venire a conoscenza che siete in dolce attesa ancor prima del vostro partner.
Secondo quanto emerge infatti dal rapporto dello Studio «Privacy Not Included» condotto dall’organizzazione non-profit Mozilla, la maggior parte di queste applicazioni che si possono scaricare gratuitamente in rete «raccolgono grandi quantità di dati personali e poi li condividono ampiamente», come ha spiegato Ashley Boyd, vicepresidente dell’advocacy di Mozilla, in un’intervista rilasciata a The Guardian.
Tanto per rendere l’idea di quanto siano sconfortanti i risultati riportati nel rapporto, basti pensare che Mozilla ha suddiviso le app esaminate in «non raccapricciante» e «molto inquietante», etichettando invece quelle con seri problemi di privacy come «privacy not included», denominazione che è stata poi usata per dare il nome allo studio.
Su un totale di 20 applicazioni analizzate nello studio di Mozilla (10 app per la gravidanza, 10 tracker mestruali e 5 dispositivi indossabili), solo 7 di esse (35%) hanno superato l’esame e sono risultate essere dotate di sufficienti misure di tutela della privacy e protezione dei dati degli utenti. Inoltre, in 8 app su 20 (40%) non sono stati riscontrati standard minimi per la sicurezza dei dati, e molte applicazioni permettono di impostare password deboli facili da violare per hacker ed altre persone non autorizzate.
Nella maggior parte dei casi, anche le informative sulla privacy sono risultate poco chiare riguardo i soggetti a cui possono essere comunicati i dati, che oltre ai social media possono essere broker di dati e inserzionisti pubblicitari, e perfino le forze dell’ordine, aspetto questo molto delicato per le donne che vivono negli Stati Uniti, dato che una su tre di queste utilizza questo tipo di app, e di recente la storica sentenza «Roe contro Wade» ha abolito le tutele del diritto all’aborto, sollevando quindi forti preoccupazioni sul potenziale ruolo dell’industria tecnologica nella criminalizzazione dell’aborto, anche perché la settimana scorsa Facebook ha consegnato alle forze dell’ordine i dati ed i messaggi confidenziali di una diciassettenne del Nebraska che aveva abortito illegalmente, informazioni che adesso vengono usate nel procedimento penali contro di lei e sua madre.
A quanto pare, la maggioranza delle donne che scaricano queste app non si prendono il tempo per leggere le informative sulla privacy e probabilmente neanche si immaginano che i dati sulla loro salute sessuale potrebbero finire non solo nelle mani di Facebook, ma anche in quelle delle forze dell’ordine, e sta di fatto che, come avviene in Europa con il GDPR, anche negli Stati Uniti gli utenti che devono scaricare una qualsiasi app avvertono sempre più la necessità di essere preventivamente informati su come saranno effettivamente utilizzati i loro dati personali, e su come sarà tutelata la loro privacy.
di Nicola Bernardi (Nòva Il Sole 24 Ore)