Legittimo vietare il burqa negli ospedali
No a burqa, nikab e volti coperti negli ospedali e negli ambulatori. A prescindere dalla disponibilità a consentire la propria identificazione rimuovendo temporaneamente il velo. È quanto afferma la Corte d'Appello di Milano nella sentenza del 28 ottobre 2019 dichiarando legittima la delibera della Regione Lombardia che aveva disposto l'adozione, da parte delle strutture competenti, di cartelli contenenti il divieto di ingresso a soggetti con il volto coperto da casco, passamontagna o burqa per ragioni di sicurezza.
Nella vicenda, alcune associazioni si rivolgevano al giudice milanese per far accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della delibera della giunta regionale lombarda nella parte in cui escludeva «che i costumi religiosi possano rappresentare giustificato motivo di eccezione ai sensi dell'art. 5 L. 152/75 rispetto alle esigenze di sicurezza all'interno delle strutture regionali» nonché nella parte in cui imponeva alle strutture competenti autorizzandole «a disporre un divieto generalizzato di ingresso negli edifici del Servizio Sanitario Regionale (ASST, ambulatori, Ospedali) alle persone con velo integrale (burqa o niqab) indipendentemente dalla disponibilità di dette persone a consentire la propria identificazione mediante rimozione temporanea della velazione».
Le associazioni chiedevano perciò la modifica della delibera e l'immediata rimozione dei cartelli da parte degli enti regionali, oltre all'adozione di un piano di rimozione della discriminazione per evitare che la stessa potesse essere reiterata.
La Regione Lombardia, dal canto suo, chiariva come la delibera si fosse limitata ad applicare limiti e restrizioni, dettati da motivi di sicurezza alle strutture destinatarie del provvedimento, negando di fatto qualsiasi discriminazione.
La Corte d'Appello meneghina tuttavia, una volta risolte le questioni pregiudiziali, dà ragione alla giunta lombarda, ritenendo corretto quanto affermato già in primo grado dal tribunale di Milano. «Non può certamente essere attribuito alla delibera in questione un carattere discriminatorio – si legge infatti nella sentenza - anzitutto per la sua genericità e per avere correttamente messo in relazione la impossibilità di identificare una persona, in quanto con volto coperto, in determinati luoghi pubblici con problemi di ordine pubblico e sicurezza (che i gravissimi attentati in luoghi pubblici avevano reso ancor più evidenti, destando vivo allarme sociale), senza che vi sia stata alcuna violazione di riserva di legge» avendo la delibera richiamato espressamente la legge nazionale (legge Reale n. 152/75).
Quanto alla lamentata violazione degli articoli 8 e 9 della Cedu, gli elementi evidenziati consentono, inoltre, di ritenere, conclude la Corte, che lo «svantaggio imposto dal cartello alle donne che indossano il velo integrale per motivi religiosi, in quanto limitato nel tempo e circoscritto nel luogo SSR e giustificato da ragioni di pubblica sicurezza – sia – proporzionato e ragionevole».
Fonte: Il Sole 24 Ore del 26 febbraio 2020