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Lecito criticare l'atleta professionista su Facebook, ma solo con toni appropriati e misurati

Ai fini del riconoscimento dell'esimente prevista dalla disciplina penalistica in riferimento al legittimo esercizio del diritto di critica di comportamenti (asseriti come) professionalmente e umanamente "sleali" di un atleta professionista, qualora le frasi diffamatorie siano diffuse a mezzo social network, il giudice, nell'apprezzare il requisito della continenza, deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato ma anche della "eccentricità" delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al "ludibrio" della sua immagine, sia esposta al "pubblico disprezzo".

L'atleta professionista può essere "criticato" su Facebook, ma solo con toni appropriati e misurati

Questo l'autorevole principio di diritto che può essere tratto dalla recente sentenza 8898/2021 della Corte di Cassazione che ha chiarito che il diritto di critica, rappresentando l'esternazione di un'opinione relativamente a una condotta ovvero a un'affermazione altrui, si inserisce nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dalla nostra Carta costituzionale e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In ragione della sua natura di "diritto di libertà" esso può essere evocato quale scriminate rispetto al reato di diffamazione, purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva.

La "critica" - La nozione di "critica" rimanda non solo all'area dei rilievi problematici ma anche e soprattutto a quella della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e "taglienti", non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore. Limiti che sono rinvenibili nella difesa dei diritti inviolabili, per cui non è consentito attribuire ad altri fatti non veri venendo a mancare in tale evenienza la funzione di "opinione" dell'espressione; né scadere nell'invettiva salvo che l'offesa sia "necessaria" e funzionale alla costruzione del giudizio valutativo.

La continenza "sostanziale" - Quanto al requisito della continenza è noto che essa concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale. La continenza sostanziale o materiale attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all'interesse pubblico alla comunicazione e al diritto-dovere di "denuncia". Essa si riferisce quindi alla quantità e alla selezione delle informazioni in funzione del tipo di affermazione e dell'utilità sociale di essa.

La continenza "formale" - La continenza formale attiene invece al modo con cui il racconto sul fatto è reso o il giudizio critico esternato, e cioè alla qualità della manifestazione. Essa presuppone quindi una forma espositiva equilibrata, "corretta" in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere. Questo significa che le modalità espressive attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero - con la parola o qualunque altro mezzo di diffusione - richiede una forma espositiva "temperata" della critica e cioè funzionale alle finalità di disapprovazione senza degenerare nella gratuita e immotivata aggressione della reputazione altrui. Essa non è incompatibile con l'uso di termini che sebbene offensivi, siano "insostituibili" nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti.

La misura dei "toni" - Al fine di valutare il rispetto del criterio della continenza occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto dialettico nel quale sono state estrinsecate, e verificare se i toni forti e sferzanti non risultino meramente gratuiti, ma siano invece ancorati al tema in discussione, adeguati al fatto narrato e strumentali al concetto da esprimere. In altre parole la diversità dei contesti nei quali si svolge la critica, così come la differente responsabilità e natura della funzione dei soggetti ai quali la critica è rivolta, possono giustificare "attacchi" anche violenti, se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi; sono proprio gli interessi in gioco che segnano la "misura" delle espressioni consentite. Compito del giudice è verificare se il giudizio negativo di valore espresso, possa essere in qualche modo giustificabile nell'ambito di un contesto critico e funzionale all'argomentazione; così da escludere l'invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario con espressioni "inutilmente" umilianti o gravemente infamanti.

La "dignità" della persona: centrale e imprescindibile -  A ben vedere il contesto dialettico nel quale si realizza la condotta può, sì, essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto fatto oggetto di critica, ma non può mai scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della "persona" in quanto tale. Dal che considerata la centralità che i diritti della persona hanno nel nostro ordinamento costituzionale, senz'altro e in ogni caso, esula dai limiti del diritto di critica l'accostamento di un individuo a cose o concetti ripugnanti, osceni, o comunque disgustosi.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 15 giugno 2021 - di Pietro Alessio Palumbo

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