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Foto di figli minorenni sui social, no ai post della nuova compagna di papà

Le fotografie di minori sono materiale delicato: non tutti hanno diritto di caricare le foto sul profilo social. Se papà e mamma divorziano, il nuovo partner di uno dei genitori non può, senza il consenso dell’altro genitore, pubblicare le foto di figli dell’ex coppia.

È la sintesi di una decisione del tribunale di Rieti (ordinanza 6-7 marzo 2019, resa nella causa RG 2008/2018), decisione, a dire il vero, agevolata dai patti divorzili dei due genitori, i quali avevano disciplinato espressamente le modalità di caricamento di foto su Internet, subordinandolo al consenso congiunto di entrambi.

La pronuncia, peraltro, sfiora appena la complessità della materia ed evidenzia l’estremo tecnicismo della materia della “privacy”.

La decisione, in effetti, risolve la questione invocando, tra gli altri, l’articolo 8 del GDPR (consenso del minore al trattamento dei dati in relazione ai servizi della società dell’informazione).

Da ciò, in prima battuta, si deduce che il tribunale di Rieti, così argomentando, presuppone che il fatto rientri nel campo di applicazione del GDPR: e questa impostazione è certamente condivisibile.

Così come è condivisibile la soluzione a cui il giudice è giunto, soluzione per arrivare alla quale il tribunale si interroga sulla verifica dell’esistenza di un eventuale consenso.

Ed è qui che il richiamo all’articolo 8 GDPR è opinabile: ciò in quanto si ritiene che si debba pervenire alla soluzione della questione non sulla base dell’articolo 8 GDPR,  estraneo al fatto oggetto di causa, ma sulla base di un altro articolo del GDPR.

Il problema è, in effetti, se sia applicabile o no l’articolo 2 del GDPR, articolo che disciplina l’ambito di applicazione materiale del GDPR.

Dall’ambito di applicazione del GDPR, l’articolo 2 citato  esclude il trattamento “domestico”, e cioè il trattamento effettuato da una persona fisica per l'esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico.

Ma andiamo con ordine.

Qui abbiamo la nuova partner del papà, che, contro il volere della mamma/ex moglie, “posta” foto dei due figli infraquattordicenni degli ex coniugi.

Nelle clausole del divorzio papà e mamma stabiliscono che la diffusione in rete di fotografie dei figli può avvenire solo con il consenso di entrambi i genitori.

Il tribunale di Rieti ritiene che queste clausole vincolino anche un soggetto terzo (la nuova compagna del papà) e inquadra questo patto divorzile nell’articolo 8 GDPR. Questo articolo pretende il consenso dei titolari della responsabilità genitoriale per l’offerta diretta a minori di una certa soglia (fissata dal legislatore nazionale) di servizi della società dell’informazione.

Nel caso specifico i minori hanno un’età inferiore alla soglia del Codice Privacy italiano (14 anni) e, sulla base anche di questa norma, il tribunale conclude che per “postare” le foto dei minori ci vuole il consenso dei genitori, qui congiunto perché nel caso specifico i genitori si sono accordati in tal senso.

A fronte di ciò, la prima domanda è se si applichi l’articolo 8 GDPR al caricamento - da parte della persona fisica che ha un account social – di una foto, che riproduce le fattezze del minore.

Altrimenti detto, quando una persona fisica carica una foto sul suo profilo social. si sta offrendo direttamente a un minore un servizio della società dell’informazione?

La risposta è negativa, e si rinvia per una analisi completa dell’articolo 8 GDPR alle Linee Guida del WP29 n. 259. Allora l’articolo 8 GDPR non è rilevante per risolvere l’enigma.

Enigma giuridico, che rischia di rimanere tale, fino a che non si consoliderà un qualche orientamento ufficiale a proposito dell’interpretazione dell’articolo 2 GDPR.

Ma di che si occupa l’articolo 2 GDPR?

Il considerando 18 al GDPR risponde a questo quesito elencando le attività a carattere personale o domestico (fuori dal campo di applicazione del GDPR) e tra queste troviamo la corrispondenza e gli indirizzari, l'uso dei social network e attività online intraprese nel quadro di tali attività.

Quindi l’uso dei social network è fuori dal campo di applicazione del GDPR.

Ma, attenzione, la norma di riferisce all'esercizio di attività a carattere “esclusivamente” personale o domestico.

Una interpretazione, che deve partire dalle parole dell’articolo 2 GDPR, deve, quindi, chiedersi: quando è che una persona tratta dati per scopi esclusivamente personali? Quali sono gli scopi personali? E quando c’è esclusività del perseguimento di tale scopo? Se uno carica su un social network una foto o i dati personali e se vi è diffusione della foto e degli altri dati, siamo ancora nel campo delle finalità esclusivamente personali?

La risposta più ragionevole è negativa, poiché l’esclusività implica e presuppone la possibilità di perdurante e costante controllo autonomo e senza interferenza sui dati durante il trattamento. Se perdo la possibilità di controllare i dati, e se, conseguentemente, altri possono in autonomia copiare, usare, girare, inoltrare e così via, allora, l’uso perde le caratteristiche della “esclusività” e perde conseguentemente anche il carattere della finalità “personale”.

Tale lettura risulta anche la più congrua rispetto alla ratio dell’intero GDPR e cioè la tutela del soggetto debole (l’interessato), ancor più quando è un soggetto particolarmente degno di protezione, come il minore di età.

Sul punto è utile richiamare (e concordare con) quanto il tribunale di Rieti scrive a proposito dell’inserimento di foto di minori sui social network, da considerarsi “un’attività in sé pregiudizievole in ragione delle caratteristiche proprie della rete internet. Il web, infatti, consente la diffusione dati personali e di immagini ad alta rapidità, rendendo difficoltose ed inefficaci le forme di controllo dei flussi informativi ex post.”.

Pertanto una lettura - orientata alla tutela del soggetto vulnerabile - porta a dire che la comunicazione sistematica o la diffusione di un dato fanno svaporare la cosiddetta esimente domestica. Questo, conseguentemente, implica che si applicano le norme del GDPR anche a riguardo della base giuridica.

Per postare la foto del minore, in conclusione, ci vuole il consenso, ma non perché lo dice l’articolo 8 GDPR, ma perché questo discende dalla interpretazione dell’articolo 2 GDPR.

Questo giustifica il giudizio di compatibilità dei consigli del Garante, “vecchi ma buoni”: quando metti on-line la foto di un tuo amico o di un familiare, quando lo “tagghi” (inserisci, ad esempio, il suo nome e cognome su quella foto), domandati se stai violando la sua privacy. Nel dubbio chiedigli il consenso.” (guida "Social Privacy - Come tutelarsi nell´era dei social network”).

Per la cronaca il Tribunale di Rieti ha ordinato la rimozione di immagini, informazioni, dati relativi ai minori  inseriti su social networks, comunque denominati; ha inibito la diffusione in social networks, comunque denominati, e nei mass media delle immagini, delle informazioni e di ogni dato relativo ai minori, in assenza del consenso di entrambi i genitori; ha fissato una sanzione di € 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di rimozione nonché per ogni episodio di violazione dell’inibitoria, in favore dei minori.

Note sull'Autore

Antonio Ciccia Messina Antonio Ciccia Messina

Professore a contratto di "Tutela della privacy e trattamento dei dati Digitali” presso l'Università della Valle d’Aosta. Avvocato, autore di Italia Oggi e collaboratore giornali e riviste giuridiche e appassionato di calcio e della bellezza delle parole.

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