Caso di omicidio risolto grazie ai dati raccolti dall’auto connessa, ma aumentano le incertezze sulla privacy
Automobili sempre più connesse, tra aggiornamenti software e raccolta di dati personali, i veicoli conoscono molto più di noi rispetto a pochi anni fa, e forse anche più di quanto possiamo immaginare. Con le auto “smart” di nuova generazione le insidie per la privacy sono sempre più numerose.
In un recente report di NBC News è stato raccontato come un caso di omicidio sia stato risolto grazie a informazioni sensibili che erano stati raccolte dal veicolo della vittima. I dati personali sono stati rintracciati grazie alla registrazione della voce ricavata proprio nei minuti nei quali l’omicidio è stato compiuto.
Dal punto di vista delle indagini, è stato senza dubbio decisivo poter recuperare tali informazioni, ma per la privacy non è sempre piacevole sapere che nelle vetture di nuova generazione ci siano dei software in grado di registrare e conservare la voce e le parole dette all’interno dell’abitacolo, anche perchè la maggior parte degli automobilisti non ne sono consapevoli, e per questo il 79% di essi non cancellano i dati personali memorizzati sulla propria auto quando la vendono.
Nel caso risolto negli Usa, l'’azienda Berla Corp. ha raccolto questi dati per la polizia, estraendoli dalla vettura. Il loro software legge gli ID univoci dei dispositivi bluetooth e le wi-fi collegate al sistema digitale dell’auto, nonché i registri delle chiamate, i contatti e i messaggi di testo. Inoltre, è possibile ricavare dati personali anche dai registri conservati dal computer interno dell’auto, osservando quante volte sono state aperte le portiere, e recuperando i tragitti Gps.
Cosa potrebbe succedere però se questi dati venissero raccolti da chi non ha assolutamente buone intenzioni? C’è ad esempio il caso di un uomo australiano che ha utilizzato una app per accedere ai dati della Land Rover della sua ex. “Non solo è stato in grado di accedere alle informazioni in tempo reale sull’auto, ma anche di controllarla, accendendola e spegnendola a distanza e aprendo i finestrini“, si legge in un articolo pubblicato su The Verge. Un comportamento inquietante di stalking reso possibile proprio dalla quantità di dati disponibili e da come vengono immagazzinati nella ‘memoria’ dell’auto.
La questione che si pone è dunque tutti questi dati servano davvero per far funzionare le auto “smart”. Il problema delle crescenti incertezze sulla privacy non è però di facile risoluzione, e sarà un tema centrale perché sulla ‘iper-connessione’ dei veicoli moderni le case costruttrici stanno investendo ingenti risorse economiche.