Barclays accusata di spiare i dipendenti, indaga il garante privacy inglese
Avete mai sospettato che il vostro capo vi stesse spiando sul lavoro? È capitato probabilmente a tutti almeno una volta di chiederci se l’azienda ci avesse installato un software di monitoraggio sul computer, o se ci stesse monitorando in qualche altro modo, ma se lavorate alla Barclays questo presentimento potrebbe essere più che una semplice suggestione. Il Garante per la privacy inglese (ICO Information Commissioner’s Office) ha infatti aperto un’indagine sul colosso bancario, accusato di aver implementato un sistema che spia i propri dipendenti.
(Nella foto: Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy)
Tutto aveva avuto inizio nel 2017, quando alcuni addetti notarono una scatola nera sotto le loro scrivanie, scoprendo che la banca aveva installato a loro insaputa dei dispositivi di localizzazione chiamati OccupEye, i quali sono dotati di un sensore che rileva calore e movimenti per analizzare i dati sull’utilizzo dello spazio di lavoro con un elevato livello di precisione. Per tale ragione, i dipendenti avevano concluso che la Barclays avesse in realtà installato tali dispositivi per tenere traccia dei tempi di permanenza alla scrivania del proprio ufficio.
Dal canto suo, la banca si era difesa affermando che non stava curiosando sull’operato dei suoi dipendenti, spiegando che “i sensori non monitoravano le persone o la loro produttività, ma valutavano l’utilizzo dello spazio degli uffici”, motivando che tale tipologia di analisi era di utilità per ridurre i costi di gestione, come ad esempio quelli legati al consumo energetico.
L’utilizzo dei software di analisi incriminati sarebbe durato circa 18 mesi, fino a quando, proprio a causa delle lamentele sollevate dai dipendenti la banca aveva poi deciso di rimuoverli.
Ma gli alterchi tra Barclays ed i propri dipendenti ricominciavano poco dopo, quando nel 2019 la problematica si ripresentava di nuovo, stavolta con l’installazione di un software chiamato “Sapience”, il quale ha lo scopo di tracciare le attività che i dipendenti effettivamente svolgono durante le ore lavorative, ma che rispetterebbe la privacy degli addetti perché traccerebbe esclusivamente dati anonimizzati, almeno secondo quanto sostiene la banca.
Attualmente le indagini sono ancora in corso, ma un portavoce dell’ Information Commissioner’s Office britannico ha spiegato che “Le persone si aspettano di poter mantenere la loro vita privata e che hanno diritto a un certo grado di privacy anche sul posto di lavoro”.
Che le banche utilizzino da tempo strumenti per vigilare sull’operato dei propri dipendenti non è ovviamente cosa nuova, anche perché nello specifico settore non vi è solo la necessità di accertarsi che gli addetti rendano regolarmente la loro prestazione lavorativa, ma vi è l’esigenza di tenere sotto controllo grandi flussi di denaro e comportamenti sospetti di dipendenti infedeli che potrebbero causare ingenti perdite finanziarie per l’istituto. Ciò non toglie che, come ha precisato il funzionario dell’autorità di controllo inglese per la protezione dei dati, “se le organizzazioni desiderano monitorare i propri dipendenti, dovrebbero essere trasparenti”, fornendo loro tutte le informazioni e spiegando in modo chiaro le motivazioni per cui l’adozione di tali tecnologie apporta vantaggi reali.
Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy (Nòva Il Sole 24 Ore)