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Attenzione al rispetto della privacy se la confessione religiosa intende fare propaganda con le immagini dei fedeli

Di recente una confessione religiosa ha chiesto ai suoi membri di acconsentire all’uso delle immagini registrate durante le funzioni religiose.

Chiesa chiede ai suoi membri di acconsentire all’uso delle immagini registrate durante le funzioni religiose per fini di propaganda.

È accaduto in Kenia, dove il pastore locale della chiesa “Christ is The Answer Ministries” (definita con l’acronimo “CITAM”) ha esortato i propri aderenti ad acconsentire alla confessione religiosa di utilizzare le immagini e i video registrati allo scopo di promuovere la missione di divulgazione locale e internazionale della CITAM.

Stiamo anche incoraggiando i genitori a darci il consenso (tramite moduli firmati) per permetterci di usare le immagini dei loro figli che partecipano ai nostri programmi, per aiutarci a utilizzarle per la mobilitazione e per la TV, i siti web e le pagine online”, ha dichiarato il pastore, sottolineando che lo stesso consenso è stato richiesto ai genitori dei bambini che frequentano le scuole CITAM.

Da parte sua il reverendo si è impegnato a non utilizzare le immagini dei bambini per alcun interesse commerciale, sottolineando che il consenso aiuterà la Chiesa a orientarsi ogni volta che i bambini saranno coinvolti in eventi, attività e programmi pubblici.

”Queste immagini potrebbero essere utilizzate nei formati dei media stampati e digitali, comprese le pubblicazioni cartacee, i siti web, l’e-marketing, i poster, i banner, la pubblicità, gli insegnamenti sui social media e gli scopi di ricerca. Se avete dei dubbi, siete pregati di comunicarceli”, ha annunciato la Chiesa.

Ovviamente in un contesto come quello del Kenia il problema relativo all’utilizzo dei dati personali si pone solo a livello nazionale, non essendoci una regolamentazione sovranazionale come il Gdpr.

Quali sarebbero però le implicazioni di un simile trattamento di dati se fosse effettuato da una confessione religiosa in un Paese dell’Ue, come ad esempio l’Italia?

L’art. 9, comma 1 del Gdpr dice che “è vietato trattare dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche…” ma il comma 2 del richiamato articolo esclude tale divieto quando “il trattamento è effettuato, nell'ambito delle sue legittime attività e con adeguate garanzie, da una fondazione, associazione o altro organismo senza scopo di lucro che persegua finalità politiche, filosofiche, religiose o sindacali, a condizione che il trattamento riguardi unicamente i membri, gli ex membri o le persone che hanno regolari contatti con la fondazione, l'associazione o l'organismo a motivo delle sue finalità e che i dati personali non siano comunicati all'esterno senza il consenso dell'interessato”

Sulla base del comma 2, art. 9 del Regolamento europeo, dunque una circostanza simile in Italia sarebbe conforme al Gdpr e dunque non parrebbe comportare alcuna violazione.

Interessante però notare che il considerando 47 del Gdpr prevede che gli interessi e i diritti fondamentali dell'interessato potrebbero prevalere sugli interessi del titolare del trattamento qualora i dati personali “siano trattati in circostanze in cui gli interessati non possano ragionevolmente attendersi un ulteriore trattamento dei dati personali”.

Ci si pone dunque la domanda se effettivamente un utilizzo simile di immagini e registrazioni sia un trattamento “ragionevolmente atteso” da parte dei membri, ex membri o persone che semplicemente hanno contatti continui con la confessione in questione.

C’è poi da tenere in considerazione che ogni informazione che riveli le convinzioni religiose di un individuo è classificata come “categorie particolari di dati personali” ai sensi dell’art.9 del Gdpr.

Il caso specifico in esame, inoltre, prevedeva anche l’utilizzo di immagini e video relativi a minori, il quale consenso quindi veniva richiesto ai genitori. Ma cosa comporterebbe un utilizzo di tali immagini e video ai fini di propaganda della confessione, con quindi una esplicita identificazione del soggetto minore come appartenente a quella confessione, nel momento in cui il minore raggiunta la maggiore età ritirasse quel consenso prestato dai genitori?

È chiaro dunque che un caso del genere in Italia porterebbe a non pochi grattacapi sul rispetto della privacy, considerando i tanti interessi in gioco e la tutela che il Gdpr riserva agli interessati, e nel caso sarebbe opportuno studiare apposite liberatorie da sottoporre alla firma delle persone candidate a fungere da “testimonial”, sempreché ai fedeli vada bene comparire sul web, sulle pagine delle riviste, o addirittura in TV mentre partecipano alle funzioni religiose.

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