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Se in casa avete un assistente digitale, e pensate di riuscire a mantenere il controllo della vostra privacy tra le mura domestiche, probabilmente non siete al corrente che i cosiddetti “smart speaker” possono attivarsi non solo quando date loro un esplicito comando vocale, ma anche quando pronunciate espressioni che hanno una certa assonanza con le parole chiave predefinite, rischiando così per finire di essere ascoltati varie volte durante una giornata, e anche quando non ne siete affatto consapevoli.

Amazon ha inviato per errore 1700 conversazioni registrate dallo smart speaker Alexa alla persona sbagliata. È successo in Germania, dove un utente ha richiesto alla società proprietaria dell’assistente vocale di poter disporre, come suo diritto garantito dalla normativa europea sulla privacy (GDPR), di tutte le sue conversazioni con il sistema, ma i file consegnati da Amazon corrispondevano a quelli di un altro cliente. 

Probabilmente avete fatto domande a un assistente vocale che utilizza intelligenza artificiale: Google, Alexa, Siri o altri sono dispositivi diventati assai popolari, ma anche, in alcuni casi, controversi. Pochi giorni fa, Amazon ha dovuto correggere un errore di programmazione che ha portato Alexa a suggerire a una bambina di mettere una monetina in una presa elettrica.

Apple ha sospeso su scala globale il programma di controllo qualità per Siri, la sua assistente vocale, perché tale programma rischia di violare le norme sulla privacy. Stessa decisione per Google, che ha messo in stand-by in Unione europea i controlli sul funzionamento di Assistant.

Il presidente di Federprivacy al TG1 Rai

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