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Petizioni online, chi le firma "vende" i suoi dati personali

Secondo il rapporto "Digital in 2016", un italiano su due si affida a internet per socializzare e manifestare i propri pensieri, ma di rado gli utenti riescono a distinguere i numerosi stratagemmi che si celano dietro molti strumenti online architettati "ad hoc" per carpire subdolamente le loro informazioni personali.


Ad esempio, la piattaforma di petizioni online Firmiamo.it offre l'opportunità di esprimere le proprie opinioni su temi politici o sociali, ma diversamente dalle apparenze questo sito non fa capo a un ente non-profit italiano, bensì a una società commerciale con sede a Londra che raccoglie e conserva i dati presso i server di Amazon.com in Irlanda, e per firmare una petizione si è obbligati a prestare il consenso per la cessione dei propri dati per finalità di marketing, con le conseguenze che pur essendo armati di buone intenzioni, coloro che sottoscrivono le iniziative si trovano poi bersaglio di campagne pubblicitarie.

Di recente, il noto sito di petizioni online Change.org è invece finito sotto la lente del Garante della Privacy, che ha sollevato dubbi sulla correttezza dei trattamenti effettuati con i dati degli utenti, che spesso sono chiamati ad esprimere le loro opinioni su temi anche sensibili, e perciò l'Authority ha aperto un'istruttoria sulla piattaforma, la quale a differenza di quanto possa suggerire il domino .org non è affatto un ente senza scopo di lucro, ma un'impresa sociale con sede nel cuore della Silicon Valley, che in qualità di "B-corporation certificata" produce utili e si finanzia non solo tramite la raccolta di donazioni, ma anche grazie a sponsor che pagano per promuovere le petizioni, e non per ultimo attraverso la cessione di indirizzi email ed altri dati personali degli utenti, che vengono di fatto catalogati in base alle opinioni che hanno espresso per sostenere determinate iniziative che stanno loro a cuore nella speranza di vedere qualche cambiamento positivo.

Osservate da questa diversa prospettiva, destano qualche perplessità anche campagne apparentemente genuine, come quella lanciata da una donna che si è definita una "mamma indignata" di una bambina di due anni, che ha indetto una petizione per chiedere alla Plasmon di produrre i suoi famosi biscotti senza utilizzare il tanto incriminato olio di palma, ottenendo infine un clamoroso successo con 44.051 sostenitori che si sono schierati a favore dell'iniziativa, e "convincendo" così l'industria alimentare americana a mettere in produzione una linea di biscotti con l'olio extra vergine d'oliva tra gli ingredienti.

Da quanto si legge nell'informativa del sito che ha gestito la petizioni online, tanto la casalinga che ha lanciato la petizione, quanto le aziende che l'hanno sponsorizzata per promuoverla, potranno entrare in possesso della preziosa lista dei votanti completa dei loro indirizzi email.

Se le modalità di trattamento dei dati personali dei cittadini italiani da parte di siti come Change.org e Firmiamo.it siano in regola o meno con la normativa sulla privacy, spetterà naturalmente al Garante stabilirlo, ma sta di fatto che dietro il paravento delle petizioni online, diversi siti web hanno trovato la gallina dalle uova d'oro, e secondo una recente inchiesta de L'Espresso, esisterebbero precisi tariffari che vengono applicati a partiti, organizzazioni ed aziende che vogliono comprare i loro database, con prezzi oscillanti tra gli 85 centesimi e 1,5 euro per ciascun indirizzo email acquisito.


Articolo pubblicato su Affaritaliani.it a cura di Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy

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