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Diffamazione online, il solo cognome può non essere "individualizzante", ma l'effetto lesivo aumenta

Pochi giorni addietro, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4498 depositata in cancelleria il 14 febbraio 2019, ha ribaltato il principio ormai consolidato per cui, in tema di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, è configurabile il reato anche in assenza di esplicite indicazioni nominative e quando i soggetti siano individuabili tramite riferimenti alle attività svolte.

La posizione assunta di recente dagli Ermellini, si basa sul fatto che l’offesa della reputazione necessaria ad integrare l’illecito diffamatorio, presuppone l’individuazione del diffamato sulla base di elementi che siano oggettivamente tali da far confluire il fatto offensivo su un determinato soggetto, sicché conferma il principio secondo cui “l’indicazione del solo cognome non è, di norma, sufficiente ove non sia munita di immediata attitudine individualizzante” (Cass. N.21424/2014).

Secondo il Collegio, infatti, nonostante per la Corte d’Appello i dati diffusi erano tali “nella loro specificità”, ad esprimere “immediata attitudine individualizzante”, la motivazione è risultata infine apparente ed escludente l’identificabilità del soggetto.

In tal senso, in ossequio all'ermeneutica nomofilattica, la Suprema Corte ha accolto il primo motivo (il secondo riguardo l’attitudine individualizzante assorbito ed il terzo e quarto dichiarati inammissibili) della Corte di Appello di Catania, che aveva accolto il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, il quale aveva rigettato la domanda di risarcimento danni derivanti dalla lesione del diritto all’immagine, all’identità personale, all’onore e alla reputazione cagionata dalla società convenuta a seguito alla divulgazione di notizie false sulla personalità di due soggetti.

Per essere ancora più precisi ed andando a fondo del contorto caso in esame, le questioni costituenti oggetto dei motivi di ricorso per Cassazione, espressamente dichiarati assorbiti, debbono ritenersi, per definizione, non decise e possono essere, quindi, riproposte del tutto impregiudicate all'esame del giudice di rinvio.

In sostanza, fornire dati identificativi di una persona come l’età, i plurimi precedenti penali ed il suo soggiorno in una determinata città, non rappresenta “la sussistenza del requisito dell’identificabilità della persona diffamata, necessario per la configurazione dell’illecito diffamatorio”.

In questo specifico e complesso caso però, importantissimo è stato per gli Ermellini, il non dare affatto contezza, in modo intelligibile e congruente da parte della Corte territoriale, di come e perché gli errori del comunicato (contenente precise notizie non veritiere a carico della vittima successivamente smentite), non fossero idonei ad escludere l’identificabilità del soggetto con la vittima.

A tal proposito, la Corte si è espressa altre volte riguardo tale delicata materia, sulla base del rispetto dei requisiti di veridicità e continenza della forma espressiva in cui essi sono riportati, nonché l’essenzialità dell’informazione.

La diffusione del comunicato, infatti, ha sicuramente aumentato l'effetto lesivo dell’onorabilità della vittima, ampliando la platea di soggetti che sono venuti a conoscenza dei fatti e in grado di individuarne l'asserito autore, che, anche se successivamente smentite, hanno comunque creato un danno, (infatti il primo motivo di ricorso è risultato manifestamente fondato) ma non sufficiente per configurare l’illecito diffamatorio per i motivi già largamente su riportati.

Infatti, a tal proposito, molti sono i giudici che (si pensi al Tribunale di Catania nel caso in esame) non si accodano al consolidato orientamento basato sui requisiti di veridicità, pertinenza e continenza precisando che nel caso di offesa generica non c’è reato.

Pertanto, bypassando anche le altre deduzioni e tesi difensive che i giudici hanno in parte convalidato, il reato di diffamazione può dirsi integrato qualora venga lesa la reputazione di un soggetto che, indipendentemente dalla sua indicazione nominativa, sia immediatamente individuabile; causando però, secondo alcuni orientamenti ed in questi casi, l’ennesima lacerazione nella sfera del diritto alla privacy dei soggetti coinvolti.

Note sull'Autore

Vittorio Lombardi Vittorio Lombardi

Avvocato civilista del foro di Cosenza, Privacy Officer e Consulente della Privacy certificato TÜV Italia, membro del Consiglio Direttivo di Federprivacy. Web: www.studioavvlombardi.it

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