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Una civiltà digitale che oggi non tiene conto dei diritti privacy dei cittadini svantaggiati rischia di condannare al fallimento lo sviluppo tecnologico futuro

L’ampia analisi condotta da Federprivacy sui rapporti tra i siti web e la tutela dei diritti privacy nel mondo digitale merita di essere considerata con la massima attenzione. Essa è tutta incentrata sulle misure adottate da un corposo e molto articolato insieme di siti web in ordine al dovere dei titolari di trattamenti di dati personali di assicurare agli interessati una adeguata informativa privacy, completa di tutti i riferimenti normativi. Una informativa che, sia nel quadro del GDPR che degli altri documenti e Regolamenti della UE, deve essere facilmente accessibile e comprensibile da tutti i destinatari, e cioè almeno da parte di tutti gli interessati.

Francesco Pizzetti, ha guidato il Garante della privacy dal 2005 al 2012

(Nella foto: Francesco Pizzetti, Presidente emerito del Garante per la protezione dei dati personali. Ha guidato l'Autorità dal 2005 al 2012)

Una informativa, inoltre, che deve essere arricchita anche da modalità di accesso ai suoi contenuti che vadano oltre la sola forma scritta, in modo da essere comprensibile anche da non vedenti a persone che per età o mancanza di istruzione non siano in grado di comprendere la forma scritta e il linguaggio tecnologico.

L’indagine è tanto più interessante e importante in quanto tiene conto della “Strategia sui diritti delle persone con disabilità 2021-2030”, adottata lo scorso anno dalla Commissione europea e finalizzata a tutelare e proteggere le persone con disabilità al fine di garantire ad esse il pieno godimento dei loro diritti umani, la piena ed effettiva libertà di circolazione nel territorio dell’Unione la titolarità effettiva della pienezza di tali diritti e la garanzia di non essere mai vittime, anche solo potenziali, di discriminazioni.

A questo importante e apprezzabilissimo obiettivo dell’indagine, espressamente messo in risalto dall’illustrazione di risultati qui riportata, merita aggiungere che l’indagine assume un’importanza tutta particolare, e ancora maggiore, perché implicitamente affronta un problema assolutamente centrale dell’evoluzione digitale, finora poco considerato.

Non può esservi dubbio, infatti, che il rapidissimo sviluppo della società digitale, dovuto anche alle conseguenze determinate dal periodo pandemico e dalle restrizioni che esso ha comportato, sta mettendo in rilievo ogni giorno di più che il mondo digitale differisce da quello off-line per numerosi motivi, fra i quali certamente anche il linguaggio col quale vengono intrattenuti i rapporti e scambiate le informazioni nel mondo off-line e in quello on-line.

Da questo punto di vista non vi è dubbio che tanto più il mondo digitale amplia la possibilità e la rapidità delle relazioni sociali tanto più modifica il modo, e il linguaggio stesso, col quale le informazioni e le relazioni si svolgono nel contesto digitale.

Ne deriva che anche sotto questo profilo ogni giorno di più diventa evidente che anche il “linguaggio” adottato off-line e on-line non può essere lo stesso e che questo pone significativi problemi in ordine alle differenze che i due tipi di linguaggio comportano in ordine all’accesso alle diverse modalità di relazione che caratterizzano il mondo off-line da quello on-line.

Ovviamente tutto questo pone problemi molto rilevanti proprio perché la differenza tra il mondo off-line e quello on-line è assai rilevante mentre noi in questa epoca, attratti dalla nuove opportunità di cui disponiamo, siamo spinti a vedere soprattutto gli aspetti positivi di questa trasformazione e le mille nuove opportunità che mette a disposizione di chi possa fare accesso per risorse tecnologiche, interoperatività delle comunicazioni e adeguata formazione professionale e personale al mondo on-line, cogliendo almeno le principali risorse che esso mette a disposizione.

Il grande merito dell’indagine di Federprivacy è, almeno a mio parere, proprio quello di obbligare a riflettere sul fatto che il mondo on-line non è accessibile a un numero molto elevato (anche se tuttora indeterminato) di cittadini, con conseguenze che al momento facciamo fatica anche solo a mettere a fuoco.

Non a caso un grande filosofo del mondo digitale contemporaneo, Luciano Floridi, dice spesso che i nostri nipoti ci chiederanno certamente con grande interesse (e forse con un po' di petulanza) di spiegare ad essi come era vivere in un mondo soltanto off-line, che ancora non conosceva le comunicazioni e le relazioni digitali.

L’indagine di Federprivacy ci porta ora sull’orlo di un diverso scenario, non meno scioccante: quello di un mondo nel quale la dimensione on-line delle relazioni umane è sempre più ampia e riguarda sempre più settori (quelli presi in esame dal Rapporto sono numerosi e assolutamente centrali nelle nostre società), ma in cui l’attenzione a superare le differenze tra gli utenti derivanti dagli ostacoli tecnologici non è in alcun modo pari alle dimensioni della sfida né all’importanze dei settori nei quali tali differenze sono più evidenti.

Dall’analisi svolta, e soprattutto dai risultati alle quali essa è pervenuta, non si può che essere colpiti profondamente. Essa dimostra che l’indifferenza prestata a questi problemi sia dall’industria che dalla regolazione stanno facendo sì che non più solo di discriminazione tra cittadini si debba parlare ma anche, e soprattutto, di limiti evidenti e crescenti all’evoluzione digitale futura.

Non è possibile infatti pensare a una vera e solida espansione della realtà digitale se l’accesso ad essa continuerà ad essere di fatto inibito a un numero inevitabilmente crescente di cittadini che sempre meno potranno essere considerati come “discriminati” e sempre più dovranno piuttosto essere considerati “esclusi” dal mondo digitale.

È evidente tuttavia che tutto questo ha delle implicazioni fortissime sul presente e sul futuro e può mettere in crisi, se il problema non sarà affrontato di petto e in modo deciso, l’evoluzione stessa del mondo digitale stravolgendo tutte le aspettative che intorno a questo mondo e alla sua evoluzione si stanno creando.

La protezione dei dati nel mondo digitale e le sue carenze. DPO e RTD devono lavorare insieme

L’indagine qui pubblicata deve essere dunque presa in esame con estrema serietà e giustifica che intorno ai risultati qui presentati si apra un ampio e molto serio dibattito in Italia e, soprattutto, in Europa.

A poco vale correre e correre sempre in avanti, moltiplicando regolamenti e atti regolatori e indicando agli europei un futuro sempre più attraente grazie alla circolazione e alla condivisione dei dati se di fatto si finge di ignorare che la società che stiamo costruendo rischia di escludere un numero rilevante di cittadini, fino a condannare al fallimento lo stesso sviluppo tecnologico.

Di questi aspetti la scuola, e in generale il mondo dell’istruzione e quello produttivo, stanno prendendo consapevolezza, come dimostra lo sforzo che si sta facendo per tentare di adeguare alle effettive e crescenti necessità l’insegnamento delle c.d. materie “STEM”, ma guai se pensassimo che il problema consiste solo nel preparare un numero elevato di operatori in grado di supportare la produzione di nuovi servizi nella società digitale.

È la società digitale stessa che, come questa indagine dimostra, ha bisogno di avere “nuovi” cittadini ed è per questo che la tecnologia non può restare indifferente alla necessità di essere comprensibile e accessibile per tutti, indipendentemente dalle caratteristiche di ciascuno.

Il ragionamento svolto, e per ora solo delineato a grandi tratti, comporta porsi un altro interrogativo quanto mai urgente.

L’Unione Europea è bene consapevole che la società digitale comporta profonde trasformazioni sociali, organizzative e relazionali. Non a caso infatti una parte importante dei fondi PNRR sono dedicati appunto alla transizione digitale: materia questa che è particolarmente centrale per l’Italia e rispetto alla quale vi sono ragioni, espresse dagli stessi responsabili governativi, che devono spingere ad accelerare l’uso dei fondi ricevuti pena il rischio di mancare gli obiettivi che dobbiamo raggiungere.

Ora, si badi, il PNRR ha certamente messo al centro la costruzione di robuste reti che assicurino la durevole interoperabilità dei sistemi nazionali di trasmissione dei dati e la costruzione di strutture digitali, reti e cloud, adeguate a uno spazio unico europeo fondato sulla libera circolazione dei dati all’interno dell’Unione.

Sarebbe sbagliato tuttavia ritenere che nel quadro del PNRR e della visione europea della sovranità digitale dell’Unione e dello spazio economico dei dati europeo, tutto si concentri e si esaurisca sulla attenzione alle strutture tecnologiche.

È ovvio che nel quadro del PNRR e degli obiettivi che esso vuole raggiungere un ruolo centrale lo devono giocare anche gli aspetti culturali e la adozione di misure che consentano una effettiva partecipazione dei cittadini alla società e all’economia digitale.

Da questo punto di vista i temi che emergono dalla indagine non riguardano affatto solo la tutela dei dati personali, la applicazione delle norme del GDPR e il ruolo del Data Protection Officer; ruolo, quest’ultimo, che ovviamente deve evolversi nella società digitale ben oltre il rispetto del GDPR.

Il vero tema al centro della realtà presente è come costruire una civiltà digitale europea effettivamente aperta non solo alla tutela delle persone ma anche alla loro partecipazione alla società digitale.

In questo senso è evidente che emerge in tutta la sua centralità, accanto al DPO, la nuova figura prevista dall’art.17 del CAD relativa al Responsabile della transizione digitale (RTD): una nuova figura che peraltro manca ancora in molte (troppe) amministrazioni, specialmente locali ma che nel mondo dell’evoluzione digitale deve assumere un ruolo che va ben oltre quello del puro verificatore tecnico delle modalità tecnologiche adottate da ciascuna amministrazione per essere coerente col CAD.

In questo senso l’analisi presentata e i risultati ai quali essa perviene aprono una nuova prospettiva a Federprivacy: quella di essere protagonista obbligata di una nuova importantissima fase della sua esperienza.

Essa deve diventare una associazione che guarda anche al ruolo degli RTD, ai loro rapporti con i DPO, agli obiettivi che le amministrazioni devono perseguire non solo dal punto di vista tecnologico ma anche della effettiva apertura e accessibilità per tutti i cittadini ai servizi da loro offerti.

Un compito immane, certamente, ma assolutamente essenziale in questa particolare fase della vita del nostro Paese, della Europa e, in ultima analisi, della nostra civiltà.

Note sull'Autore

Francesco Pizzetti Francesco Pizzetti

Professore ordinario di diritto costituzionale a Torino e docente alla Luiss. Presidente Autorita' Garante per la protezione dei dati personali dal 18 aprile 2005 al 17 giugno 2012.

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