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Alla sentenza per diffamazione deve seguire la deindicizzazione dal motore di ricerca

Chi di noi, almeno una volta, non ha inserito le proprie generalità in un motore di ricerca per vedere cosa si dice di noi “in rete”? Quando un ingegnere effettuò una ricerca simile si rese conto che il motore di ricerca reindirizzava a siti che propinavano sul suo conto notizie false e diffamatorie. La fonte originaria delle notizie lesive era già stata condannata con sentenza penale passata in giudicato; il tecnico chiedeva quindi a Google di provvedere alla cancellazione di tutti gli URL a cui si veniva reindirizzati digitando il proprio nome, ma il colosso informatico non adempiva o lo faceva solo in parte.

(Nella foto: l'Avv. Domenico Battaglia, Delegato Federprivacy per la provincia di Bolzano)

Asserendo fosse stato posto in essere un illecito trattamento dei dati personali ai sensi degli articoli 7 e 11 del D. Lgs. 196/2003 con la conseguente lesione alla propria riservatezza, reputazione ed onore, il professionista adiva il Tribunale di Milano.

La sentenza - Nella sua articolata sentenza (Tribunale Milano, Sez. I, 24 gennaio 2020) il Tribunale innanzitutto riconosceva la legittimazione passiva solo in capo a Google LLC, titolare del trattamento dei dati personali, estromettendo dal giudizio Google Italy srl, strumento nazionale utilizzato dal gruppo esclusivamente per attività di marketing, ricerca e raccolta della pubblicità in ambito nazionale.

In merito ai servizi resi da Google LLC, il Tribunale ricordava come essa debba essere considerata un ISP, provvedendo a raccogliere, memorizzare e ad indicizzare le pagine web immesse in rete ad opera di soggetti terzi, fornendo quindi agli utenti servizi sempre più decisivi nella diffusione globale dei dati.

Google LLC non è quindi responsabile del contenuto delle notizie riportate dai siti visualizzabili per effetto della ricerca e, di conseguenza, non può rispondere del contenuto, eventualmente diffamatorio, degli stessi. Per queste ragioni, alle società che gestiscono i motori di ricerca non può essere richiesta la cancellazione dei contenuti delle pagine web (articolo 15 D. Lgs 70 del 2003).

Google, condannato dal tribunale di Milano a rimuovere i risultati diffamatori sul motore di ricerca


A questo punto, però, si affrontava il nodo cruciale della vicenda: chiedendo a Google LLC di non rendere immediatamente disponibili agli utenti le pagine web di cui agli URL indicati in atti, l’ingegnere rivolgeva la richiesta semplicemente ad un host provider (attività regolata dal succitato D. Lgs. 70/2003) ovvero ad un titolare del trattamento autonomo?Secondo il Giudice meneghino, ad un titolare autonomo, e ciò spiegandone le ragioni.

Google LLC, così come altri motori di ricerca di seconda generazione, scandagliano il web attraverso applicazioni software denominate “spider”, raccogliendo e memorizzando i contenuti dei siti sorgente; successivamente, attraverso un algoritmo molto complesso, i contenuti vengono messi a disposizione degli utenti sulla base delle chiavi di ricerca immesse dagli utenti stessi. Insomma, l’autonomia del trattamento dei dati sta proprio in questo: Google LLC raccoglie i contenuti del web e li restituisce agli utenti sulla base di un software segretissimo.

Il Tribunale perviene quindi a questa conclusione: “Se – come è pacifico – l'associazione tra il nome del ricorrente e i siti in cui lo stesso è definito mafioso è opera del software messo a punto appositamente e adottato da Google […] non può che conseguirne la diretta addebitabilità alla società, a titolo di responsabilità extracontrattuale, degli eventuali effetti negativi che l'applicazione di tale sistema per il trattamento dei dati dell'interessato può determinare”.

In pratica, quindi, la società che gestisce un motore di ricerca è titolare autonomo, quale provider di servizi di aggregazione ed indicizzazione dei dati. Per cui, ricevuta la richiesta di deindicizzazione corredata da sentenza passata in giudicato relativa ad una condanna per diffamazione (comprovante quindi la falsità delle notizie contenute nei siti sorgente), Google LLC avrebbe dovuto provvedere alla deindicizzazione del dato personale rispetto ai siti sorgente propinanti notizie diffamatorie. Non avendolo fatto, è stata condannata a risarcire il danno.

Note Autore

Domenico Battaglia Domenico Battaglia

Avvocato del foro di Bolzano, socio membro Federprivacy e Delegato per la provincia di Bolzano. Membro dei gruppi di lavoro per la tutela della privacy nella gestione del personale, cybersecurity e studi professionali di Federprivacy. Docente a contratto presso l'Università di Padova. Data Protection Officer del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bolzano. - Email: [email protected]

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