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Rotazione degli incarichi di Dpo nella pa, i professionisti preparati non hanno bisogno di pagare la ‘mazzetta’

La rotazione degli incarichi nella P.A. non preoccupa, di certo, i DPO (Responsabili della protezione dei dati) seri e preparati. E neppure gli enti pubblici che vogliono avvalersi di soggetti in grado di assicurare al meglio il servizio di “responsabile della protezione dei dati”. È questa la sintesi di una lettura, oggettiva e consapevole, dei meccanismi del mercato di riferimento della deliberazione dell’Autorità anticorruzione (Anac) n. 421 del 13 maggio 2020, e cioè del parere in merito all’applicazione del principio di rotazione ai contratti aventi ad oggetto il servizio di protezione dei dati personali (DPO).

(Nella foto: l'Avv. Antonio Ciccia, autore per Italia Oggi e Presidente di Persone & Privacy)

La massima della deliberazione recita “l’affidamento dei contratti aventi ad oggetto il servizio di protezione dei dati personali di importo inferiore alle soglie comunitarie deve avvenire nel rispetto del principio di rotazione. I particolari requisiti e obiettivi di esperienza e stabilità nell’organizzazione del servizio, richiesti dalla normativa di settore, possono essere perseguiti dalla stazione appaltante, già in fase di programmazione dei fabbisogni e di progettazione del servizio da affidare, attraverso la previsione di una durata del contratto che sia congrua rispetto agli obiettivi individuati e alle prestazioni richieste al contraente”.

Ora, a leggere e rileggere sia la massima sia la deliberazione nella sua integralità, ci si chiede se ci siano ragioni per cui la stessa possa “fare notizia” e cioè se vi sia una discontinuità o, addirittura, uno sconvolgimento, una eccezione, uno spunto originale, insomma, una novità.

No, nulla di tutto questo, perché l’Anac si è limitata a ripetere cose ovvie, anche se è meglio così perché, come tutti sanno, le ripetizioni giovano.

Le ricadute operative della pronuncia sono molto semplici, intuitive, condivisibili e del tutto lineari con il quadro normativo sull’acquisto di servizi da parte della pubblica amministrazione.

Proviamo a essere didascalici:

1)  un’amministrazione deve individuare il periodo contrattuale più congruo per raggiungere gli obiettivi dell’incarico affidato;

2) se un’amministrazione non fa una gara aperta a tutti, questa stessa amministrazione deve garantire la rotazione degli incarichi.

Tanto per cominciare, l’efficacia ben argomentata e ragionevole di una certa durata del contratto, tenuto conto dell’interesse pubblico ad avere un ottimo servizio di protezione dei dati, è una possibilità rimessa a ciascuna amministrazione. E già questo è tanto, considerato che, ovviamente, non c’è un diritto a conservare un incarico affidato dall’ente pubblico per un tempo indeterminato.

Ma attenzione, poi, a che cosa voglia dire “rotazione”. E, per approfondire questo concetto, non basta la massima della delibera Anac 421/2020, ma bisogna avere la buona predisposizione d’animo a rincorrere i documenti, cui il provvedimento, di volta in volta esaminato, fa rinvio: di solito si tratta di atti non di rango legislativo, che fanno capire che la regola contiene la sua eccezione e che la regola non è mai quello che appare.

Tra parentesi, va sottolineato che è un luogo comune, ormai, dire che il sistema della gerarchia delle fonti del diritto italiano è sfibrato a fisarmonica,  e ciò non senza disagio per chi è abituato a credere che la norma sia generale e astratta e prevedibile nei suoi effetti.

Le norme anticorruzione valgono anche per gli incarichi di Data Protection Officer

Ma torniamo all’argomento principale.

Ebbene, chi legge la delibera Anac 421/2020, innanzi tutto, deve comprendere che si tratta niente altro che di una ovvia e mera e facile parafrasi delle disposizioni del Codice dei Contratti Pubblici (poteva l’Anac dire diversamente?), in risposta a una domanda retorica (“si applica il codice dei contratti a un certo tipo di contratti?).

Dopo avere raggiunto questa consapevolezza, bisogna armarsi di pazienza ed andare oltre l’ermetismo dei richiami contenuti nella frase “i paragrafi 3.6 e 3.7 delle Linee guida n. 4/2016, offrono indicazioni di dettaglio sull’applicazione del principio di rotazione”.

La lettura dei paragrafi 3.6 e 3.7 delle Linee Guida (appena citati) chiarisce che:

1) Il principio di rotazione comporta, di norma, il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente affidamento;

2) La rotazione non si applica laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione

3) l’affidamento o il reinvito al contraente uscente hanno carattere eccezionale e richiedono un onere motivazionale più stringente. La stazione appaltante motiva tale scelta in considerazione della particolare struttura del mercato e della riscontrata effettiva assenza di alternative, tenuto altresì conto del grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale (esecuzione a regola d’arte e qualità della prestazione, nel rispetto dei tempi e dei costi pattuiti) e della competitività del prezzo offerto rispetto alla media dei prezzi praticati nel settore di mercato di riferimento. La motivazione circa l’affidamento o il reinvito al candidato invitato alla precedente procedura selettiva, e non affidatario, deve tenere conto dell’aspettativa, desunta da precedenti rapporti contrattuali o da altre ragionevoli circostanze, circa l’affidabilità dell’operatore economico e l’idoneità a fornire prestazioni coerenti con il livello economico e qualitativo atteso.

Detto in sintesi, ferma restando la discrezionalità della durata contrattuale (vedasi sopra), il principio di rotazione è una regola non assoluta, ma può essere attenuato se ci sono le ragioni per farlo e queste ragioni sono di interesse pubblico e cioè di qualità ed efficacia della prestazione.

Visto tutto ciò dal lato del DPO, si può certamente concludere che un DPO preparato non ha nulla da temere dall’applicazione di una norma che vuole solo arginare i casi in cui si strumentalizzano le semplificazioni nell’assegnazione degli incarichi per favorire qualcuno.

D’altra parte, non pare proprio che la normativa sia costruita in modo tale da intendere l’incarico di svolgimento della funzione di DPO quale un incarico stabilizzato o per tutta la vita professionale.

I DPO non sono precari da stabilizzare. Al contrario, sono professionisti preparati e in continuo aggiornamento, in grado di stare sul mercato e di aprirsi a nuove esperienze, in una crescita continua per se stessi e per i propri committenti. Abbracciare impostazioni diverse significa essere disposti a correre il rischio di svilire il ruolo del DPO e minimizzare il suo decisivo contributo per l’affermazione della cultura della privacy.

Il problema serio, in sostanza, non è la rotazione degli incarichi. Il problema è il problema è come rendere riconoscibili i DPO migliori; il problema è la capacità e la volontà degli enti di selezionare i soggetti migliori, che non hanno certo timore di mettersi in gioco nel confronto competitivo; il problema è chiedersi se gli enti pubblici hanno, in questi anni, selezionato i migliori DPO o se, invece, si sono affidati a soluzioni di ripiego.

Ed anche quest’ultima domanda, a ben vedere, è stata finora, in molti casi, retorica.

Note Autore

Antonio Ciccia Messina Antonio Ciccia Messina

Professore a contratto di "Tutela della privacy e trattamento dei dati Digitali” presso l'Università della Valle d’Aosta. Avvocato, autore di Italia Oggi e collaboratore giornali e riviste giuridiche e appassionato di calcio e della bellezza delle parole.

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